Saper “guardare” i bambini con malatttie reumatologiche

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“Semplicemente guardarli”: questo il titolo della campagna di sensibilizzazione sulle malattie reumatologiche nei bambini promossa da APMAR, Associazione Persone con Malattie Reumatiche, insieme alla Società Italiana di Pediatria, alla Federazione Italiana Medici Pediatri e al Sindacato Medici Pediatri di Famiglia. Sono circa 10.000 i bambini che ogni anno sono colpiti da queste patologie. «Per brevità si chiamano malattie reumatologiche, al plurale proprio perché sono tante – spiega Angelo Ravelli, responsabile Reumatologia interventistica presso l’Istituto G. Gaslini di Genova. − La forma più diffusa è l’artrite idiopatica giovanile, segue il lupus eritematoso sistemico, la dermatomiosite giovanile, la sclerodermia, la spondiloartropatia giovanile, la malattia di Kawasaki, la vasculite sistemica primaria giovanile rara, la poliartrite nodosa, e tante altre ancora; per alcune ci sono cure riconosciute, per altre, come la sclerodermia, non esistono ancora terapie adeguate. Ma il primo passo è rappresentato sempre dalla diagnosi senza la quale ogni sforzo è vano». Fondamentale il ruolo del pediatra, che deve identificare la malattia e richiedere l’intervento del reumatologo pediatrico per la definizione diagnostica e la corretta terapia, ma poi riprenderlo in carico per garantire la continuità assistenziale sul territorio al bambino e alla famiglia.

Le malattie reumatologiche nell’età evolutiva hanno caratteristiche molto diverse dall’età adulta e richiedono quindi competenze specifiche pediatriche: la sensibilità per una diagnosi rapida e per una corretta applicazione delle terapie più moderne sono prerequisiti essenziali per raggiungere una gestione della malattia che permetta una normale qualità di vita in una grande percentuale dei bambini.

«In Italia − osserva Alberto Villani, vice-presidente SIP e direttore della UOC Pediatria Generale e Malattie Infettive dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma − negli ultimi anni i bambini con necessità assistenziali per patologie croniche e/o complesse sono aumentati significativamente di numero e richiedono un approccio multidisciplinare, specialistico pediatrico e che coinvolge diverse professionalità».

«Il percorso di cura − sottolinea Alessandro Ballestrazzi, presidente FIMP − deve prevedere la collaborazione di più specialisti per affrontare i vari aspetti della malattia e soprattutto un coinvolgimento attivo del pediatra per garantire la continuità assistenziale al bambino e alla famiglia.  Spesso il Centro di riferimento è distante dalla sede del paziente, per cui il pediatra di famiglia e la famiglia sono costretti a costruirsi una rete locale con tutti i limiti che ciò comporta».