Disturbi del comportamento alimentare: numeri in crescita

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Sono due milioni in Italia i giovani che soffrono di disturbi del comportamento alimentare. È la SIMA, Società italiana di medicina dell’adolescenza, a lanciare l’allarme, evidenziando la continua espansione di “un’epidemia sociale” che interessa ragazzi sempre più giovani. Fondamentali sono la diagnosi precoce, il ruolo della famiglia, dei pediatri di famiglia e di un team multidisciplinare specializzato.

Nel 40% dei casi le patologie di tipo anoressico e bulimico si manifestano tra i 15 e i 19 anni, ma si evidenziano numerosi casi anche in età preadolescenziale, tra gli 8 e i 12 anni. Numerosi i fattori di rischio, di tipo biologico, psicologico e sociale: dalla presenza di genitori affetti da disturbi psichiatrici, alla familiarità positiva per disturbi affettivi, dalla presenza di episodi depressivi nelle madri fino alla tendenza all’abuso di sostanze.

«Vi è una sottostima del fenomeno clinico, relativo soprattutto al mancato riconoscimento di quei disturbi minori che costituiscono spesso la porta di ingresso, non riconosciuta, verso comportamenti patologici strutturati» spiega il Piernicola Garofalo, presidente SIMA. «Oggi è sempre più frequente un fenomeno nuovo: i genitori mostrano minore preoccupazione per gli insani comportamenti alimentari dei propri figli, perché convinti che la dieta, e persino il vomito, possano rappresentare un rimedio adeguato alla gestione del peso corporeo. Tali tentativi di dimagrimento, trascurati dalle famiglie per mesi, possono evolvere in disturbi del comportamento alimentare in soggetti predisposti. Non bisogna infine dimenticare – ha concluso Garofalo – che i DCA sono patologie croniche ad alto rischio di recidiva: necessitano, dunque, di un attento monitoraggio clinico-comportamentale nel tempo».

È necessario che il pediatra di famiglia conosca sempre meglio queste patologie per una loro precoce individuazione e per una eventuale presa in carico all’interno di un percorso multidisciplinare. In particolare il ruolo della pediatria di famiglia è essenziale nell’intercettare i primi segnali di tali condizioni morbose perché da questo dipende la successiva diagnosi, terapia e prognosi. In letteratura sono segnalati dei test diagnostici, quali l’EAT 26, che possono essere utilizzati nella pratica quotidiana dal pediatra per la loro semplicità.