Minori e web, forza e fragilità dei nativi digitali

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Dalla culla in poi

Non è inusuale incontrare bambini che dimostrano dimestichezza con i touch-screen, sono in grado di aprire da soli le applicazioni (app) dei giochi o di colorare le figure strofinando il ditino sul tablet. Del resto i primi contatti con un monitor interattivo avvengono in media a 11 mesi di età, quando ancora il linguaggio non è perfezionato. «Non è facile quantificare il fenomeno e stabilire l’impatto sullo sviluppo psico-emotivo dei più piccoli» spiega Giovanni Corsello, professore ordinario di pediatra presso l’Università di Palermo, presidente della SIP. «A grandi linee esprimiamo un parere sfavorevole all’impiego dei dispositivi elettronici in questa fascia di età poiché c’è il rischio che la realtà virtuale dei videogiochi si sostituisca, proprio in un momento così delicato dell’evoluzione, a una relazione interpersonale diretta, necessaria a realizzare i valori della crescita». «La tendenza a utilizzare lo schermo come strumento di mediazione tra figli e genitori è precocissima» conferma Federico Tonioni, professore dell’Istituto di psichiatria e psicologia dell’Università Cattolica di Roma e coordinatore dell’Ambulatorio dedicato alle dipendenze da Internet, all’ascolto e alla cura delle vittime del cyberbullismo del Policlinico Gemelli. «Siamo noi adulti a mettere questi dispositivi in mano ai bambini con la speranza di guadagnare un po’ di tranquillità durante un viaggio o evitare conflitti. Cerchiamo di non dimenticarlo e non smettiamo di domandarci il motivo. La disponibilità degli adulti verso i figli è cambiata e ai monitor viene delegata la cura dei più piccoli che spesso si rispecchiano emotivamente con un tablet piuttosto che con un familiare». Alcuni genitori sono convinti che i dispositivi elettronici migliorino le prestazioni cognitive dei figli, eppure gli studi non sembrano confermare differenze significative tra i bambini che utilizzano i tablet e gli altri. «Rapidità di apprendimento e manualità sono forse favorite ma, soprattutto in età prescolare, le attività di natura elettronica non devono mai sostituirsi ad altre basate sulla comunicazione orale» spiega Corsello. «L’immagine è un importante veicolo d’informazioni tenendo sempre presente, però, la centralità della parola. Senza criminalizzare nessuno, il pediatra può assumere un ruolo guida nell’aiutare i genitori a moderare l’uso dei tablet e le ore che un figlio piccolo trascorre davanti alla TV, uno strumento passivo che può favorire con il tempo sedentarietà, sovrappeso e svogliatezza».

È vera dipendenza?

Nel documentario sui campi di rieducazione cinesi uno psichiatra afferma che i ragazzi indossano dei pannoloni per adulti pur di non allontanarsi dallo schermo. In questo caso, forse, si può parlare di Internet Addiction Disorder espressione coniata nel 1995 dallo psichiatra statunitense Ivan Goldberg. In Italia la questione se sia opportuno etichettare in questo modo gli adolescenti che utilizzano in maniera scorretta la Rete è ancora vivace, come afferma Gerardo Favaretto, psichiatra, direttore del Dipartimento di salute mentale della Ulss9 di Treviso e autore di una ricerca su Internet e psicopatologia realizzata su un gruppo di studenti delle scuole superiori: «Da diversi anni si discute sul concetto di abuso e dipendenza da Internet. Anche nell’ultima versione del DSM-5, peraltro molto generosa verso altre patologie, è stato inserito un disturbo definito Internet Gaming Disorder, identificato con il tempo eccessivo dedicato al gioco di ruolo online non legato al guadagno. In questo dibattito si scontrano due anime della psichiatria: c’è che tende a classificare tutti i comportamenti secondo modalità patologiche e chi sostiene che andrebbe invece scoperto il problema all’origine dell’uso smodato dei videogiochi e della navigazione da parte dell’adolescente. Noi abbiamo privilegiato questo aspetto perché non ci interessava stimare quantitativamente il fenomeno. Piuttosto ci sembrava utile individuare, attraverso uno screening psicopatologico, i soggetti più fragili monitorando le loro abitudini in Rete. Dai dati raccolti abbiamo dedotto che esiste una correlazione tra disagio psicologico e uso scorretto dei dispositivi elettronici. Non mi spingerei però ad affermare che esiste una vera e propria patologia da dipendenza nonostante alcuni professionisti nordamericani, come la dottoressa Kimberly Young, abbiamo ottenuto riconoscimenti accademici per aver prodotto scale di valutazione e Internet Addiction Test». «Il pediatra è un osservatore privilegiato» ricorda Tonioni. «Non deve sottovalutare la tendenza dei genitori a compiacere il rapporto tra il bambino e il monitor, soprattutto quando la presenza costante di questi dispositivi sostituisce quella dell’adulto di riferimento. Innanzitutto deve preoccuparsi quando il bambino non riesce più a esprimere in parole quello che prova. I soggetti più a rischio sono i minori adottati, chi ha vissuto un’esperienza di disgregazione familiare dove le emozioni sono bloccate. Notato il disagio, il pediatra non deve colpevolizzare i genitori, che altrimenti si ritirano, ma coinvolgerli nella ricerca di soluzioni». «Il pediatra dovrebbe farsi carico del problema» conferma Corsello. «Durante i periodici bilanci di salute, magari favorendo l’incontro individuale senza i genitori, chiedere al ragazzo quanto tempo dedica alla TV, al videogioco e a Internet per poi registrare eventuali alterazioni nel comportamento come tic, aggressività, modifiche nel regime alimentare, calo di interesse per la scuola, assunzione di sostanze d’abuso e altri elementi che potrebbero suggerire un uso eccessivo di Internet o la presenza di contatti pericolosi veicolati dalla rete. L’approccio deve essere qualitativo».

1 COMMENTO

  1. La Net Generation non comprende come nella Rete si rispecchi il mondo reale con le sue luci e le sue ombre. La capillarità del web consente il proliferare della pedofilia attraverso il grooming, adescamento online di giovani vittime, o attraverso i siti che promuovono la “pedofilia culturale”, inneggiante alle pratiche pedofile descritte come esperienze ideologicamente positive. La tecnologia ha semplificato tutto e isolato tutti: la maggior parte dei minori naviga senza il controllo di un adulto, imbattendosi in scene sempre più violente, e accessibili con un click, di sesso estremo come quello rappresentato negli snuff video, dove la vittima risulta essere torturata oppure uccisa dal suo carnefice. Spesso, invece, è il giovane l’autore di immagini e video a sfondo sessuale di cui, una volta messi in rete, perde il controllo: è il caso del sexting attraverso il quale si rendono pubbliche su Internet situazioni di intimità a volte, come accade nel porn revenge, con un ex partner al fine di vendicarsi per l’abbandono. L’educazione sessuale dei giovani, sempre più virtuale, passa ormai attraverso siti a luci rosse come YouPorn che, dalla sua nascita, ha totalizzato oltre 93 miliardi di visualizzazioni. Sta dilagando, inoltre, il fenomeno delle ragazze che si mettono in vendita, senza percepire la mercificazione del loro corpo, attraverso gli oltre 5 milioni di video amatoriali oppure per mezzo delle webcam chat. E ancora, online esistono oltre 300mila siti pro-Ana e pro-Mia che istigano a pratiche alimentari pericolose. Immagini di magrezza malata hanno invaso social network come Instagram, dove foto di corpi scheletrici raccontano l’anoressia meglio delle parole e nutrono lo spirito di emulazione di chi si ispira alla dea Ana. La rete amplifica anche il fenomeno del bullismo fra i giovani che postano commenti diffamatori, sovente in forma anonima come avviene sulla piattaforma sociale Ask spingendo, come già accaduto, al suicidio delle giovani vittime. Tutte situazioni alimentate anche dalla scarsa attenzione di insegnanti e genitori verso il mondo del web che, sovente, rifiutano a priori comportandosi da cyber struzzi e lasciando i giovani in balia di questo mare magnum virtuale ricco di insidie reali. E’ necessario abbattere il muro che separa il mondo adulto, quello dei migranti digitali nati in un mondo analogico e cartaceo, dai digital kids che parlano il linguaggio digitale e sanno destreggiarsi nell’universo virtuale senza, però, le dovute misure precauzionali. Diventa un’esigenza improcrastinabile sensibilizzare sui pericoli nascosti nella Rete, per evitare che da formidabile strumento conoscitivo, si trasformi in trappola per pesciolini sprovveduti e poco attenti alla web reputation.
    Avv. Ilaria Caprioglio

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