Conoscere e comprendere l’angioedema ereditario

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Maria Bova, Centro di Riferimento Campano per la diagnosi e la terapia dell’angioedema ereditario, Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’
Maria Bova, Centro di Riferimento Campano per la diagnosi e la terapia dell’angioedema ereditario, Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’

Una malattia ereditaria rara, che in Italia colpisce un migliaio di persone circa. L’angioedema ereditario e il suo impatto sulla vita, ma anche la possibilità di una vita con questa malattia, raccontato dagli stessi pazienti dell’associazione AAEE onlus (Associazione volontaria per l’angioedema ereditario e altre forme rare di angioedema) in un video, partecipando alla campagna “Angioedema ereditario: conoscerlo per comprenderlo” lanciata dall’Osservatorio Malattie Rare, in occasione della Giornata mondiale dedicata alla malattia. «L’angioedema ereditario è una malattia genetica causata dall’assenza di una proteina del sangue, il C1 inibitore. È Il difetto genetico che provoca la carenza o il non funzionamento della proteina che ha funzione regolatrice di due sistemi di importanza vitale per l’organismo: il sistema di contatto della coagulazione e il sistema del complemento della difesa immunitaria» illustra Maria Bova, del Centro di Riferimento Campano per la diagnosi e la terapia dell’angioedema ereditario presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’. Una malattia con edemi a livello di pelle, mucose, organi interni e anche il possibile interessamento delle vie aeree superiori, per la quale vi possono essere diversi fattori scatenanti, come i traumi (fisici ed emotivi), la febbre, una caduta, lo stress (per esempio per un esame o un compito). Vi è una terapia di profilassi e gli attacchi vanno trattati con i farmaci adeguati, la cui somministrazione è endovenosa o sottocutanea: «Si tratta di farmaci altamente specifici che vengono resi disponibili solo ai pazienti che hanno ottenuto una diagnosi certa. Il farmaco viene consegnato ai pazienti, che oggi possono autosomministrarselo. Fino a qualche anno fa dovevano recarsi al pronto soccorso portando con sé il farmaco, chiedendo la somministrazione dello stesso, non senza problemi», dice ancora Bova. «Per ovviare a ciò abbiamo iniziato, tra i primi in Europa, a insegnare ai pazienti e ai loro familiari come somministrarsi il trattamento in autonomia. L’autosomministrazione ha dato risultati eccezionali, in termini di qualità della vita dei pazienti e di riduzione dei costi sanitari e di quelli a carico di chi vive con la malattia».