Genitori separati, famiglie ricomposte, famiglie omogenitoriali, famiglie che hanno fatto ricorso alla fecondazione medicalmente assistita o all’adozione, famiglie monoparentali: sono le principali “mutazioni” a cui negli ultimi decenni è andata incontro la struttura della famiglia, parallelamente ai cambiamenti socio-culturali, demografici, legislativi e tecnologici.

Malgrado diffusi timori e pregiudizi, come dimostra la letteratura scientifica, la crescita di un bambino in queste famiglie non comporta più rischi della crescita in famiglie nucleari tradizionali con genitori uniti, biologi, eterosessuali, bianchi. È quanto è emerso dal 33° Congresso Nazionale dell’Associazione Culturale Pediatri (Acp): “I professionisti devono considerare la diversità non più come fattore di rischio – cosa che accadeva fino agli anni ’70 e ’80, e in Italia fino agli anni ’90 –  ma come una specificità dei compiti di sviluppo di queste famiglie.

Pediatri e insegnanti, assistenti sociali e psicologi non devono cercare carenze o mancanze in loro, ma unicamente individuare le risorse di cui hanno bisogno, adattando anche il linguaggio a un pieno rispetto della diversità” ha affermato Laura Fruggeri, Direttrice della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia del Centro Bolognese di Terapia della Famiglia.

Pediatri e insegnanti, dunque, attraverso un opportuno percorso di formazione e autoriflessione critica, possono e devono sostenere le famiglie “frammentate” nei loro vari compiti, che non trovano ancora una prassi sociale consolidata: “I professionisti a contatto con queste famiglie devono valutarle non in base alla loro forma o struttura, ma in base alla qualità delle relazioni e dei processi, come anche in base alla capacità di affrontare i problemi”, ha precisato Fruggeri.