Segnalato un collegamento tra COVID-19 e sindrome infiammatoria multisistemica

Uno studio multicentrico italiano conferma la correlazione tra il virus SARS-Cov-2 e la sindrome infiammatoria multisistemica, malattia con alcune caratteristiche simili alla malattia di Kawasaki.
La notizia arriva dal congresso straordinario digitale della Società Italiana di Pediatria (SIP) “La Pediatria italiana e la pandemia da SARS-CoV-2”, svoltosi il 27 e 28 novembre scorso, dove sono stati presentati i dati del lavoro promosso dal Gruppo di Studio di Reumatologia della SIP.

Pediatri da tutta Italia

La raccolta dei casi di malattia di Kawasaki classica e di sindrome infiammatoria multisistemica è stata realizzata da circa 200 pediatri in tutto il territorio nazionale a partire dal primo febbraio 2020 fino al 31 maggio 2020: sono stati così segnalati 149 casi, di cui 53 con la malattia multisistemica e i restanti con Kawasaki.
“La percentuale di pazienti positiva al virus era nettamente più alta nella popolazione con sindrome multi-infiammatoria (75%) rispetto alla popolazione affetta da malattia di Kawasaki classica (20%)”, racconta Andrea Taddio, consigliere del Gruppo di Studio di Reumatologia della SIP e professore associato di Pediatria all’Università di Trieste, tra gli autori dello studio insieme a Marco Cattalini, Università degli Studi di Brescia, e Angelo Ravelli, direttore della Clinica Pediatrica e Reumatologia dell’Istituto G. Gaslini di Genova e Segretario del Gruppo di Studio di Reumatologia della SIP. “Inoltre, queste forme multi-infiammatorie sistemiche si sono accumulate temporalmente circa un mese dopo il picco dell’epidemia infettiva, a conferma che quello che abbiamo visto è stata una iper risposta infiammatoria a un trigger virale”.

Caratteristiche particolari

Andrea Taddio riporta che i pazienti erano soprattutto nelle regioni con più casi di COVID-19 (Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) e che nella sindrome multi-infiammatoria sistemica, rispetto alla malattia di Kawasaki classica, i pazienti avevano un’età media più alta (intorno ai 7 anni), una maggior probabilità di aver bisogno della terapia intensiva pediatrica e necessità di aver bisogno di un sostegno ventilatorio, come pure una maggior probabilità di manifestare sintomi atipici per la Kawasaki (come gastro-intestinali e polmonari) e di avere miocardite o insufficienza cardiaca. “La sindrome multi-infiammatoria sistemica si caratterizzava per degli indici di flogosi più elevati (PCR), una linfopenia, una piastrinopenia, una ferritinemia più elevata ed un aumento degli enzimi cardiaci (troponina, BNP)”, continua Andrea Taddio, e aggiunge che, pur non essendoci stati decessi, “una piccola percentuale di pazienti aveva esiti cardiologici a distanza, anche se non clinicamente rilevanti. La maggior parte dei pazienti affetti da sindrome multi-infiammatoria è stata trattata con IVIG e steroidi, ma alcuni di questi hanno necessitato di un trattamento con inibitore di IL-1 da subito per la gravità del quadro oppure successivamente per scarsa risposta alla terapia di primo livello”.

Un secondo lavoro

I dati raccolti riguardano la prima ondata ma ripartirà la raccolta anche relativa a questo secondo periodo di aumento di casi della pandemia. Nel frattempo, sulla natura delle due malattie e il legame con l’infezione da SARS-Cov-2 Angelo Ravelli precisa che “le forme iperinfiammatorie non sono condizioni diverse dalla malattia di Kawasaki, come molti ritengono, ma fanno parte di un unico spettro di patologia che va dalle forme meno gravi a quelle più gravi ed è presumibile che il virus sia stato implicato sia nelle forme classiche di malattia di Kawasaki che in quelle iperinfiammatorie. Ritengo che le forme iperinfiammatorie nella loro base siano malattie di Kawasaki deformate e rese più aggressive da un virus che sappiamo essere estremamente invasivo. Quando questo virus con una forte carica virale colpisce soggetti con una particolare predisposizione genetica, in un’età non abitualmente colpita dalla malattia di Kawasaki, può dare forme molto più aggressive che, a mio avviso, fanno parte comunque dello stesso spettro clinico”. Diventa dunque importante lo studio genetico e dei fattori causali che hanno portato al manifestarsi dell’una o dell’altra malattia nei bambini.

Presto e bene

Per supportare il pediatra a fronte di casi sospetti o confermati di sindrome infiammatoria multisistemica, il Gruppo di Studio di Reumatologia ha inoltre prodotto un documento di suggerimenti per definire le caratteristiche cliniche particolari e i principi di trattamento di questi casi alla pandemia da COVID-19, perché, conclude Andrea Taddia, “la nostra impressione è che la tempestività d’intervento sia cruciale nel determinare l’outcome del bambino”.