La sindrome di Munchausen per procura è una patologia eterogenea, che comprende tutte quelle situazioni nelle quali un adulto, generalmente la madre, induce segni e sintomi di una malattia in un bambino, con la conseguenza che lo stesso viene sottoposto a indagini diagnostiche inutili e a terapie non necessarie. Un caso clinico emblematico dimostra come la diagnosi possa essere complessa e come l’atteggiamento apprensivo e scrupoloso del caregiver renda a lungo difficile l’insorgenza del sospetto che proprio chi è così sollecito per la cura del bambino sia in realtà l’autore dell’abuso.
di Raffaele Domenici, Lucia Matteucci
UO Pediatria, ASL 2, Lucca
Un bambino di 3 anni viene ricoverato in urgenza, perché una mattina presenta difficoltà a risvegliarsi e appare ipotonico, pallido, sudato, ipotermico, torpido, bradicardico. Se stimolato, risponde a tono e collabora, ma poi tende a riaddormentarsi nuovamente. L’esame obbiettivo all’ingresso, oltre a confermare quanto sopra riportato, mette in evidenza ROT torpidi e miosi con scarsa reattività alla luce. Niente da segnalare agli altri organi e apparati.
All’anamnesi patologica si segnalano, fin dalle prime epoche di vita, ricorrenti episodi febbrili, attribuiti a flogosi delle prime vie aeree e, in un caso, a broncopolmonite acuta con dispnea. La valutazione dell’assetto immunitario e il test del sudore risultano normali. Si segnala anche un episodio di atassia acuta regredita dopo alcune ore. I vari accertamenti eseguiti in quella circostanza risultavano normali con solo un modesto incremento dell’attività rapida all’EEG. Quando il piccolo aveva 2 anni il papà muore per linfoma non-Hodgkin.
I vari esami eseguiti durante il ricovero, volti a considerare patologie infettive, metaboliche, intossicazioni risultano normali. L’ECG rileva una bradicardia sinusale (55-58 atti/min) con aritmia respiratoria. L’EEG evidenzia un discreto rallentamento dell’attività di fondo con ritmo prevalente di 6-7 Hz, cui si frappongono ritmi più lenti di 4-5 Hz (nei giorni successivi migliora progressivamente fino a normalizzarsi dopo una settimana). La TC encefalo è normale, come pure l’ecografia cardiaca e addominale. Vengono monitorizzate le funzioni vitali (FC, FR, PA, SaO2) e la diuresi che risultano nella norma. Non viene eseguita alcuna terapia farmacologica. Il giorno successivo lo stato di coscienza torna apparentemente normale.
Dopo alcuni giorni, sempre durante la degenza, il bambino presenta una nuova crisi, con le stesse caratteristiche descritte sopra, che si risolve spontaneamente il giorno successivo. Ancora una volta i vari esami risultano nei limiti. Il decorso clinico successivo è caratterizzato dalla presenza di lunghi periodi (36-48 ore) di alterazione dello stato di coscienza, della durata di 2-5 giorni.
La compromissione dello stato di coscienza è di grado variabile, fino al coma profondo, con totale assenza di reattività agli stimoli e stato stuporoso con risposte lente a stimoli nocicettivi e a richiami verbali. Il passaggio dallo stato di vigilanza al coma è brusco, può avvenire in un momento qualunque del giorno, ma soprattutto al mattino. Il ripristino della vigilanza, invece, è sempre piuttosto lento. Sintomi associati, non tutti contemporaneamente presenti e, comunque, variabili di volta in volta, sono ipotermia, pallore, bradipnea, respiro tipo Cheyne Stokes con SaO2 in genere > 95%, bradicardia (FC di solito 40-50 atti/min con punte di 37-35/min), ipotensione più o meno marcata, talora fino allo shock, ma dopo i primi mesi anche puntate ipertensive (fino a 180 mmHg). La terapia è essenzialmente di supporto con somministrazione di atropina per la bradicardia, dopamina nelle condizioni di shock, nifedipina nei casi di ipertensione. In una occasione si manifesta edema polmonare acuto, che richiede intubazione e trasferimento presso il reparto di rianimazione. Durante gli episodi di perdita di coscienza non sono mai state riscontrabili alterazioni degli indici ematochimici e urinari di base, dell’EGA, di piruvato, lattato, alanina (dosati nel plasma e nel liquor), biotinidasi, acidi organici, carnitina, aminoacidi plasmatici e urinari, degli esami infettivologici su sangue e su liquor.
Numerose sono state le consulenze, anche in diversi ospedali nazionali e con diverse figure di specialisti, come numerosissimi sono stati gli accertamenti eseguiti. Tra gli altri si segnalano oltre i EEG con registrazione poligrafica del sonno e dinamico, sia in fase critica che nei periodi di benessere RMN encefalo, analisi su liquor per escludere encefalopatia da prioni, indagini tossicologiche (ripetute più volte) su sangue e urine, indagini di gasmassa, sia nei periodi critici che intercritici, dosaggio dei metalli pesanti, tipizzazione HLA per narcolessia, dosaggio di ADH, delle porfirine urinarie totali, tutti senza esiti significativi. Il dosaggio della carnitina palmitoiltransferasi è normale, come pure l’analisi della catena respiratoria e del DNA mitocondriale per ricerca della mutazione MELAS. Nel tentativo di valutare la possibilità di una letargia ricorrente vengono somministrati ripetutamente, ma senza esito, flumazenil e naloxone.
Durante uno degli episodi critici, mentre viene effettuata una registrazione di EEG dinamico, si evidenzia un prolungato stato di male ad apparente esordio parziale sinistro. Il quadro evolve drammaticamente fino a una gravissima insufficienza respiratoria, con trasferimento in rianimazione dove la situazione progredisce fino all’arresto respiratorio. Le manovre rianimatorie sono efficaci, viene applicata ventilazione assistita, la condizione di coma areflessico si protrae per circa 24 ore, la respirazione autonoma è possibile. In seconda giornata l’EEG eseguito dopo questa evenienza dimostra anomalie epilettiformi temporali destre e posteriori bilaterali, sincrone e asincrone, ad andamento pseudoperiodico. I controlli eseguiti nei mesi successivi evidenziano una regressione degli elementi parossistici.
Con la ripresa della normale vigilanza si evidenziano manifestazioni di regressione psicomotoria: scomparsa del linguaggio, perdita del controllo sfinterico, indifferenza agli stimoli ambientali, mancato riconoscimento delle figure familiari. Da allora, nei periodi intercritici il bambino presenta motricità armonica, ma con ipercinesia spiccata, quasi del tutto afinalistica e prevalenza di contatto a modalità orale; con il passare del tempo riprende a sorridere e a pronunciare alcuni bisillabi. La RMN e la RMN spettroscopia evidenziano diffusa iperintensità nelle immagini a TR lungo localizzata essenzialmente nella sostanza bianca periventricolare e sottocorticale e nella sostanza grigia corticale prevalentemente nelle porzioni posteriori. Il sistema ventricolare e gli spazi liquorali periencefalici sono di dimensioni ampliate, soprattutto per quanto riguarda i corni temporali. I dati spettrali depongono per una encefalopatia ipossico-ischemica. Una PET con 18-fluoro-desossiglucosio mostra un diffuso ipometabolismo cerebrale.
Dopo 15 mesi all’inizio della sintomatologia le crisi cessano e si assiste a un lungo periodo di benessere, durato circa 9 mesi. Durante tale periodo il bambino viene sottoposto a periodici controlli ambulatoriali nei quali costantemente si riscontra normalità dei valori cardiocircolatori. Presenta i sintomi di regressione comportamentale descritta, ma mai alterazioni dello stato di coscienza o eventi acuti. Dopo questo lungo periodo, ancora nelle prime ore del mattino, presenta nuovamente un episodio critico con le stesse caratteristiche già descritte. Viene nuovamente ricoverato e durante il ricovero gli episodi diventano sempre più gravi e ravvicinati. Si segnalano anche un episodio subocclusivo intestinale con vomito fecaloide e alcuni episodi convulsivi, trattati con diazepam per via endorettale o endoveosa.
Il ripresentarsi della sintomatologia con le stesse caratteristiche dopo un lungo periodo di benessere, la difficoltà di ricondurre il quadro clinico a una definita eziologia rafforzano il sospetto di una induzione farmacologica dei disturbi, che non era stato possibile dimostrare. Vengono fatti alcuni tentativi di allontanare la mamma, ma senza risultato: dopo la morte del marito è l’unica a esercitare la patria potestà e rifiuta di lasciare il bambino alle cure dei nonni.
Si richiede quindi l’autorizzazione alla Magistratura a intercettazioni video e audio, che consentono la dimostrazione dell’ipotesi di una sindrome di Munchausen per procura. Tali intercettazioni, infatti, dimostrano come la madre somministri al bambino ripetutamente, di nascosto e diluendole in singoli cucchiai di minestrina alcune compresse. La donna viene bloccata durante una registrazione proprio nel momento in cui, tolto il blister dalla tasca, diluisce una compressa nel cucchiaio: si tratta di un preparato contenente clonidina. Il bambino, separato dalla madre, non ha più presentato la alcuna sintomatologia. Campioni di sangue e urine prelevati durante le crisi letargiche e congelati vengono analizzati, con metodiche specifiche, allestite allo scopo, con il supporto della azienda produttrice del farmaco, che mettono in evidenza concentrazioni molto elevate di metaboliti della clonidina.