La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) chiede alle istituzioni l’apertura di un tavolo di lavoro per intercettare e prendersi cura delle situazioni di fragilità

Il quadro delle nuove povertà di delinea con chiarezza negli ambulatori dei pediatri che lavorano sul territorio. Dal 10 al 15% di famiglie fragili fra gli assistiti di ogni pediatra, emergenza di nuovi poveri segnalata dalla Caritas e previsioni di aumento del tasso di disoccupazione. La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) richiama l’attenzione sulla gravità del quadro, con le conseguenze a lungo termine sui bambini di oggi, giovani di domani.

“Ci sono famiglie che non accedono né a ristori né a casse integrazioni e allo stesso tempo non possono nemmeno svolgere i lavori che praticavano in epoca pre-Covid. Queste famiglie sono invisibili alle stesse istituzioni governative e non saranno mai raggiunte dai fondi europei, proprio perché non verranno rintracciate”, avverte Giuseppe Di Mauro, presidente della SIPPS. “Noi pediatri non vinciamo da soli, in questa battaglia alla povertà dobbiamo creare una rete che ci colleghi a nuove figure professionali, come l’infermiere pediatrico domiciliare, ai servizi sociali comunali spesso di difficile individuazione, alle realtà del terzo settore e al volontariato”.

Ne nasce un appello, lanciato alle istituzioni: “Si apra un tavolo di lavoro, anche in vista del Piano Infanzia, che potrebbe nascere con una parte delle risorse previste nel Recovery Fund, perché non bastano più le consensus su come curare le singole patologie, ora c’è bisogno di più figure professionali che insieme intercettino le situazioni di fragilità per poi prendersene cura”, chiede Di Mauro. “A pagare il prezzo più alto di questa crisi pandemica sono le famiglie con figli piccoli e coppie di genitori di giovane età. Ormai un numero crescente di madri e padri non sa nemmeno se nei prossimi mesi riuscirà a mettere un piatto a tavola e, come si sa, la malnutrizione, in particolare nei primi 1.000 giorni di vita può causare gravi danni alla salute, anche dal punto di vista neurologico”.

La richiesta è di un tavolo di professionisti, composto dai diversi attori nel campo: i servizi sociali comunali, gli infermieri, le Società scientifiche di Pediatria, la Caritas, le associazioni di volontariato, il terzo settore e istituzioni come Regioni e Comuni. La proposta della SIPPS è di avere su tutto il territorio nazionale un operatore di visita domiciliare, o infermiere di famiglia, figura che già c’è per esempio in Emilia Romagna e prevista anche nel decreto legge del 19 maggio relativo alle ‘Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19’. Il pediatra potrebbe gestire i casi in stretto contatto con l’infermiere di comunità, preparato nel settore infantile. Tale figura sul territorio, secondo gli ultimi dati Censis-Fnopi, sarebbe vista positivamente da oltre 9 italiani su 10.

“Si potrebbe prevedere quindi una figura dell’equipe del territorio completamente dedicata all’attenzione ai bambini, con un rapporto operatore-bambini di 1 ogni 500 nati per territorio. Il singolo pediatra non ce la può fare da solo, serve una rete che metta insieme professionalità e servizi differenti. Il pediatra di famiglia ha già un ruolo di advocacy, sensibilizza, dà strumenti e più consapevolezza alle famiglie, ma servono istituzioni e un lavoro di rete per prevenire i danni indiretti del Covid-19. Altrimenti ci ritroveremo tra 5-10 anni con tanti adolescenti non vaccinati o portatori di patologie che si sarebbero potute individuare precocemente nei primi 1.000 giorni di vita”, continua Di Mauro, e conclude: “Dobbiamo tenere a cuore il presente dei bambini, ma anche il futuro delle prossime generazioni da un punto di vista neuro-cognitivo, psicologico e sanitario. Se tra 20 anni troveremo costi sanitari maggiorati e una popolazione di adulti con più problematiche sanitarie a causa di un minor numero di vaccinazioni, visite filtro e screening, allora significherà che non abbiamo fatto fino in fondo il nostro lavoro”.