All’Ospedale Bambino Gesù è allo studio una nuova possibilità di cura per la ricostruzione chirurgica del palato duro

Utilizzare cellule staminali autologhe nei casi di labiopalatoschisi per una ricostruzione ingegnerizzata del palato duro. Dopo i risultati ottenuti con la sperimentazione in vitro i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù stanno proseguendo il lavoro per la fase successiva.

L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù riporta come la labiopalatoschisi sia l’anomalia congenita del cranio e del volto più comune, interessando circa un bambino su 700 in Europa e con circa 600 bambini che nascono in Italia ogni anno con questa malformazione (di cui un quinto è seguito presso questa struttura). Ogni anno vengono presi in cura presso l’Ospedale Bambino Gesù circa 120 nuovi casi e altrettanti pazienti che hanno iniziato il trattamento in altri ospedali, e sono oltre 2.000 quelli seguiti in follow up.

Il protocollo chirurgico di questo ospedale, nella labiopalatoschisi completa, contempla un intervento chirurgico unico a 6 mesi di età del paziente, con la ricostruzione di labbro, naso, palato anteriore (duro) e il palato posteriore (molle). Al momento, la ricostruzione del palato anteriore duro viene effettuata con un innesto di periostio tibiale del paziente, ma i ricercatori dell’Ospedale Bambino Gesù stanno mettendo a punto la possibilità di utilizzare cellule staminali autologhe, facendole crescere su apposito supporto (scaffold) a formare il palato che verrebbe poi impiantato.

La labiopalatoschisi ha un impatto importante dal punto di vista estetico, funzionale e psicologico, con un percorso lungo (diversi anni) e impegnativo, che può richiedere anche più interventi chirurgici. Importante dunque il sostegno e supporto a pazienti e famiglie fin dalla diagnosi prenatale, per tutto il percorso che dovranno affrontare. “Grazie ai progressi della medicina oggi un bambino che nasce con labiopalatoschisi raggiunge quasi sempre una ottima qualità di vita. Per alcuni di loro però anche la piccola cicatrice che resta tra il labbro e il naso rappresenta un ricordo costante della malattia e di quello che ha comportato. Come se non fossero mai guariti del tutto”, dice Mario Zama, responsabile dell’unità operativa complessa di chirurgia plastica e maxillofacciale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, e conclude: “Per questo motivo è fondamentale il rapporto con le famiglie e il lavoro svolto dalle associazioni genitoriali. È il modo più efficace per non farli sentire soli, per testimoniare che si è parte di una più ampia famiglia acquisita in cui tutti condividono la stessa esperienza di vita”.