Un recente confronto tra due coorti omogenee di ragazze ha messo in evidenza come la percentuale di bambine che hanno avuto il menarca prima degli 11 anni sia passata da circa il 14% al 25% in un solo decennio (2013 vs 2023) (Mazzolini S., www.laboratorioadolescenza.org).

Per i ragazzi, un lavoro multicentrico italiano ha documentato un progressivo aumento dei casi di pubertà precoce centrale (PPC) negli ultimi due decenni, passando da 14 diagnosi nel periodo 2001-2005 a 74 diagnosi nel 2016-2020 (Cassio et al., J Clin Endocrinol Metab. 2024). Inoltre, la grande maggioranza dei bambini ha presentato una forma idiopatica di PCC, mentre in passato i maschi avevano più frequentemente forme conseguenti a patologie organiche del sistema nervoso centrale (Mucaria et al., Sexes 2021).

Analoghi risultati sono stati rilevati in altre popolazioni, suggerendo che il fenomeno non sia limitato al nostro Paese. Nel loro insieme, questi dati confermano oggi la tendenza a un anticipo dello sviluppo puberale.

Il menarca avveniva a un’età compresa tra 7 e 13 anni anche nel Paleolitico, essendo la maturazione sessuale precoce un compromesso per una ridotta aspettativa di vita. Poi nel medioevo, l’età del menarca era riferita a circa 14 anni (range da 12 a 15 anni) e un ulteriore avanzamento (15-16 anni) si è verificato con la rivoluzione industriale a causa del deterioramento delle condizioni di vita. Si ritiene, comunque, che vi sia sempre stata una sostanziale sincronia tra sviluppo somatico e psico-sociale, perché l’acquisizione delle capacità riproduttive senza il raggiungimento di adeguate capacità neuro-intellettive risulta svantaggioso per i giovani e la loro eventuale prole.

A partire dal secolo scorso, si è osservata una progressiva diminuzione dell’età del menarca (cosiddetto “secular trend”) in conseguenza del miglioramento delle condizioni socio-economiche, igieniche e nutrizionali (Papadimitriou A. J Pediatr Adolesc Gynecol. 2016).

Fattori legati all’evoluzione industriale e mediatica – come interferenti endocrini (v. S. Bernasconi, pag. 44 et al.), uso eccessivo di strumenti elettronici fin dalla prima età evolutiva, modifiche delle abitudini del sonno (v. U. Faraguna, Il Pediatra 1/2024) o eventi occasionali – come la pandemia da Covid 19 – stanno probabilmente favorendo un ulteriore anticipo dei tempi biologici della pubertà (Cheng TS. Et al., J Pediatr Adolesc Gynecol. 2022).

Al contrario, la maturazione psico-sociale richiede oggi tempi più lunghi. Ne deriva che la pubertà precede anziché essere allineata allo sviluppo neuro-psichico e sociale, almeno nei Paesi occidentali. Questa asincronia tra soma e psiche può contribuire a favorire problemi di salute mentale degli adolescenti, unitamente a una maggiore propensione a sperimentare acriticamente comportamenti a rischio reali e virtuali (Gluckman et al., Mol Cell Endocrinol. 2006). Inoltre, ne conseguono effetti negativi sulla salute cardio-metabolica e un aumentato rischio di alcuni tipi di neoplasie in età adulta.

Di questa situazione si deve tener conto nella programmazione delle attività di prevenzione, bilanci di salute ed educazione alla sessualità responsabile. Infine, poiché alcune patologie dell’adulto possono essere influenzate dai tempi della pubertà, un coordinato percorso di transizione deve assicurare che – al momento della presa in carico dell’adolescente – il medico di medicina generale sia adeguatamente informato di rilevanti “indicatori fisiologici di salute”, tra cui i tempi dello sviluppo puberale.

Un costante miglioramento della “cultura professionale adolescentologica” rimane, dunque, un obiettivo primario di questa Rivista, perché – come affermava Roberto Burgio – l’adolescenza è competenza del Pediatra e le sue problematiche stanno emergendo sempre più in anticipo, in conseguenza anche dell’asincronia tra sviluppo biologico e neuro-sociale.