Negli ultimi anni sono stati sviluppati e sono entrati nella pratica clinica diversi nuovi farmaci antiepilettici (FAE), il cui meccanismo d’azione e le cui indicazioni sono riassunte in un articolo pubblicato nel numero 1/2014 de Il Pediatra. In questa nota sono invece presi in esame i FAE di prima generazione.
Fenobarbital (PB)
Ad ampio spettro d’azione, è efficace nel trattamento di crisi parziali e tonico-cloniche generalizzate e di tutte le sindromi epilettiche, eccetto l’epilessia con assenze dell’infanzia per la quale è controindicato. Viene utilizzato come farmaco di prima scelta solo per la terapia delle convulsioni neonatali, mentre nel caso dello stato epilettico si usa per via endovenosa come farmaco di terza scelta dopo l’eventuale fallimento terapeutico di benzodiazepine e fenitoina.
La sua biodisponibilità orale pressoché completa non è alterata dalla contemporanea ingestione di cibo, che ne influenza solamente la velocità di assorbimento. Dati la lunga emivita e il lento raggiungimento dello stato stazionario (2-3 settimane), il PB può essere assunto sin da subito alla dose di mantenimento, ma al momento della sospensione del trattamento la posologia deve essere ridotta gradualmente (ogni 2-4 settimane per 3-6 mesi), per evitare l’insorgenza di crisi.
Il PB potenzia l’azione depressiva dell’alcool sul SNC, a livello del quale si manifesta
La maggior parte degli effetti collaterali dose-dipendenti del farmaco si manifesta a livello del SNC: sonnolenza e sedazione, irritabilità e iperattività, vertigini, disartria, atassia, nistagmo, discinesie, depressione e alterazione delle funzioni cognitive. Di comune riscontro sono anche nausea, vomito, anoressia e riduzione della densità minerale ossea
Fenitoina (PHT)
FAE ancora largamente utilizzato, efficace nel trattamento di crisi parziali e tonico-cloniche generalizzate, nella nevralgia trigeminale e negli episodi convulsivi secondari a interventi di neurochirurgia e a gravi traumi cranici. In caso di stato epilettico e di convulsioni neonatali, la PHT viene utilizzata per via endovenosa come farmaco di seconda scelta dopo l’eventuale fallimento terapeutico delle benzodiazepine. La PHT è controindicata nelle crisi di assenza, atoniche e miocloniche, nelle epilessie miocloniche progressive (es. malattia di Unverricht-Lundborg) e nelle encefalopatie epilettiche dell’infanzia (es. sindrome di Lennox-Gastaut).
Soprattutto in caso di terapia a dosaggio elevato, è necessario monitorare i livelli plasmatici (range terapeutico: 10-20 μg/ml). Nell’eventualità di un’overdose, inizialmente compaiono atassia, nistagmo e disartria; successivamente il paziente entra in coma, le pupille non sono reagenti allo stimolo luminoso e la pressione arteriosa si abbassa drasticamente, fino all’apnea e all’arresto cardiorespiratorio.
La soluzione di infusione parenterale non deve essere mescolata ad altri farmaci nelle flebo a causa del forte rischio di precipitazione della sostanza, né tantomeno somministrata per via intramuscolare perché la PHT cristallizza causando dolore.
Gli effetti indesiderati più frequenti sono rappresentati da sintomi neurotossici (confusione mentale, sonnolenza, atassia, disartria, distonie, diplopia, nistagmo, vertigini, movimenti coreici, psicosi, cefalea e parestesie) e sintomi gastrointestinali (nausea, vomito e stipsi). Effetti cronici dismorfici si possono verificare dopo mesi di terapia (ingrossamento dei lineamenti facciali, irsutismo, ipertricosi, acne e iperplasia gengivale); altri problemi non frequenti possono verificarsi nella terapia a lungo termine (deficit di folati, neuropatia periferica, atrofia cerebellare). La PHT può, inoltre, esacerbare la porfiria acuta intermittente e interferire con il metabolismo della vitamina D, generando quadri di osteomalacia e rachitismo.
Primidone (PRM)
Viene utilizzato come farmaco di seconda o terza scelta in caso di epilessie a esordio parziale e di crisi tonico-cloniche generalizzate; può rivelarsi efficace anche per il trattamento del tremore essenziale, dell’epilessia mioclonica giovanile e dell’epilessia del lobo temporale, mentre è controindicato nell’epilessia-assenza e, a differenza del fenobarbital, nelle convulsioni neonatali.
L’acetazolamide ne riduce la biodisponibilità orale e carbamazepina e fenitoina ne inducono il metabolismo, inibito al contrario dall’isoniazide e dall’acido valproico.
Gli eventi avversi provocati dal PRM sono assimilabili a quelli causati dal fenobarbital, con il riscontro di una più accentuata tossicità alla prima dose somministrata: sonnolenza, atassia, vertigini, nausea e vomito interessano gran parte dei pazienti.
Etosuccimide (ESM)
È indicato come monoterapia nell’epilessia con assenze dell’infanzia, prescritto in associazione a lamotrigina o a valproato di sodio in caso di scarsa efficacia. Utile anche nel controllo delle crisi miocloniche associate alle sindromi di Lennox-Gastaut, di Dravet e dell’epilessia mioclono-astatica e nell’epilessia mioclonica giovanile; da evitare nel caso di epilessie a esordio focale e di crisi tonico-cloniche generalizzate, a meno che non sia somministrata insieme a un altro farmaco che le controlli.
L’assorbimento dopo assunzione orale (alla fine del pasto per ridurre il rischio di sintomi gastrointestinali) è pressoché completo.
I FAE induttori enzimatici (fenobarbital, fenitoina, carbamazepina e primidone) e la rifampicina accelerano il metabolismo dell’ESM, mentre il valproato di sodio e l’isoniazide lo rallentano. L’ESM è in grado di stimolare solamente il metabolismo del valproato di sodio; inoltre dall’interazione farmacodinamica favorevole con quest’ultimo, permette il controllo delle crisi di assenza nei pazienti non responsivi alla monoterapia.
Tra gli effetti collaterali più comuni si annoverano nausea, vomito, dolori addominali, singhiozzo, sonnolenza, cefalea, astenia, granulocitopenia, trombocitopenia, pancitopenia, lupus eritematoso sistemico, sindrome di Stevens-Johnson, discinesie e, soprattutto nei bambini, episodi psicotici associati a normalizzazione del tracciato EEGrafico (fenomeno della “normalizzazione forzata”).
Carbamazepina (CBZ)
Indicata come terapia di elezione per le crisi epilettiche parziali con o senza secondaria generalizzazione, può essere somministrata anche in caso di crisi generalizzate tonico-cloniche, o per trattare la nevralgia trigeminale e il disturbo bipolare resistente al litio.
Il suo utilizzo è controindicato per il trattamento di crisi di assenza, crisi miocloniche e crisi atoniche, che possono addirittura essere esacerbate dal farmaco. È inefficace in caso di
I macrolidi, la cimetidina, il metronidazolo, lo stiripentolo e il valproato di sodio determinano un aumento dei livelli plasmatici di CBZ, mentre il fenobarbital, la fenitoina, il primidone, il felbamato e l’oxcarbazepina ne causano la riduzione. Il trattamento con CBZ richiede, pertanto, uno stretto monitoraggio dei suoi livelli plasmatici (range terapeutico: 8-12 μg/ml), rilevabili anche attraverso la saliva.
Tra gli effetti collaterali più comuni si riscontra la neurotossicità (sonnolenza, vertigini, confusione mentale, nistagmo, atassia, diplopia e visione offuscata), con accentuazione dei sintomi in caso di contemporanea assunzione di lamotrigina o levetiracetam. Frequentemente vengono riferiti anche disturbi gastrointestinali (nausea, vomito e diarrea), iperlipidemia, rash, iponatriemia, leucopenia transitoria, alterazioni della funzionalità tiroidea ed epatica. L’insorgenza di anemia aplastica o agranulocitosi deve essere sospettata qualora il bambino presenti sanguinamenti abnormi, ecchimosi e petecchie, lesioni orali, infezioni ricorrenti e febbre elevata.
Non può essere prescritta in caso di allergia a composti triciclici, di soppressione midollare, di glaucoma ad angolo chiuso e di assunzione di inibitori delle monoammino ossidasi (MAO).
Valproato di sodio (VPA)
È il farmaco di prima scelta nel trattamento delle forme generalizzate di epilessia (es. epilessia con assenze dell’infanzia, epilessia mioclonica giovanile, epilessia mioclono-astatica), delle epilessie miocloniche progressive, delle epilessie fotosensibili (es. epilessia con assenze e mioclonie palpebrali) e della sindrome di Lennox-Gastaut.
La sua biodisponibilità orale maggiore del 90% non è influenzata dalla contemporanea ingestione di cibo, che si limita a rallentarne l’assorbimento.
I livelli plasmatici di VPA sono ridotti da altri FAE (carbamazepina, lamotrigina, fenobarbital, fenitoina, primidone, topiramato ed etosuccimide). Le interazioni farmacodinamiche più favorevoli sono state evidenziate con la lamotrigina (nonostante l’aumento del rischio d’insorgenza di tremore) per il controllo delle crisi generalizzate e a esordio parziale e con l’etosuccimide per il trattamento delle assenze.
Gli effetti collaterali che più frequentemente vengono riferiti sono tremore, sonnolenza, vertigini, atassia, astenia e cefalea; disturbi gastrointestinali, aumento del peso corporeo, sindrome dell’ovaio policistico, alopecia, diminuzione della densità minerale ossea, iperammoniemia e ipocarnitinemia.
L’insufficienza epatica severa si manifesta raramente, ma insorge soprattutto in bambini con età inferiore ai 2 anni, in caso di politerapia e nei primi mesi di trattamento.
Acetazolamide (AZM)
È utilizzato per lo più come farmaco aggiuntivo per il trattamento di crisi parziali e generalizzate (atoniche, toniche, tonico-cloniche, miocloniche e assenze atipiche) e come farmaco da somministrare in modo intermittente in caso di epilessia catameniale.
La sua biodisponibilità orale, pressoché completa, non viene influenzata dalla concomitante ingestione di cibo.
Non metabolizzata, l’acetazolamide viene escreta immodificata per via renale e i suoi livelli plasmatici non sono influenzati da altre sostanze farmacologiche. Al contrario, influisce sulla concentrazione plasmatica di altri farmaci: innalza quella di fenitoina, fenobarbital, carbamazepina e ciclosporina.
Tra gli effetti collaterali di più comune riscontro si annoverano parestesie, sonnolenza, atassia, visione offuscata, poliuria, parageusia, anoressia (letargia, tachipnea e coma, in caso di contemporanea assunzione di acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), nausea, vomito, diarrea, rash cutaneo, acidosi metabolica e nefrolitiasi (secondaria all’ipocitruria). La loro insorgenza può essere contrastata iniziando la terapia con dosaggi bassi di farmaco, invitando il paziente a bere molto ed evitando, inoltre, la contemporanea prescrizione di topiramato, zonisamide o dieta chetogenica.
È da evitare in caso di acidosi ipercloremica e di ipokaliemia.
Ormone adrenocorticotropo (ACTH)
Indicato come mezzo diagnostico dell’insufficienza adrenocorticale e per il trattamento delle esacerbazioni della sclerosi multipla e della debolezza muscolare severa correlata alla miastenia gravis, l’ACTH viene utilizzato anche in caso di spasmi infantili (sindrome di West), sindrome di Lennox-Gastaut, epilessia mioclono-astatica, sindrome di Dravet, sindrome di Landau-Kleffner, sindrome di Ohtahara ed encefalite di Rasmussen.
Poiché inattivato a livello del tratto gastrointestinale, deve essere somministrato per via intramuscolare.
Le reazioni avverse che si evidenziano sono da ascrivere principalmente alla stimolazione della secrezione di cortisolo da parte della ghiandola surrenale: caratteristiche cushingoidi, irritabilità, ipertensione, iperglicemia, glicosuria, aumento ponderale, squilibri idro-elettrolitici, immunosoppressione con possibile alterazione della funzionalità dei leucociti polimorfonucleati (aumentato rischio di pneumocistosi e sepsi), scompenso cardiaco congestizio.
In genere un unico ciclo di terapia della durata di 4-6 settimane è sufficiente per raggiungere il controllo delle crisi (i non-responder devono essere trattati con vigabatrin, acido valproico, topiramato, zonisamide, levetiracetam, benzodiazepine o vitamina B6), ma prima di instaurare il trattamento (che va sempre iniziato in ospedale, alla dose massima, poi ridotta gradualmente affinché si possa ripristinare la secrezione endogena di ACTH), è buona norma controllare la pressione sanguigna, effettuare un ecocardiogramma, eseguire esami ematochimici e laboratoristici (emocromo, azoto ureico, elettroliti sierici ed esame urine), eseguire un test di Mantoux e una radiografia del torace per escludere la presenza di un’infezione micobatterica in corso. È essenziale non sottoporre il bambino ad alcuna vaccinazione a partire da 10 giorni prima dell’inizio del trattamento e per tutta la durata dello stesso.
Benzodiazepine (BDZ)
Il clobazam è utilizzato come farmaco aggiuntivo nella terapia delle crisi parziali complesse (in pazienti di età superiore ai 3 anni) e in caso di stato di male epilettico non convulsivo. Inoltre, viene somministrato a scopo ansiolitico e può rivelarsi utile nelle epilessie riflesse (es. da lettura, da soprassalto), nell’epilessia catameniale, nella sindrome di Lennox-Gastaut.
Il clonazepam è indicato in associazione con altri FAE nelle assenze, miocloniche, acinetiche e nella sindrome di Lennox-Gastaut; può essere impiegato anche in caso di sindrome di Landau-Kleffner, convulsioni neonatali e spasmi infantili. Tuttavia, a causa dell’eccessiva sedazione provocata, dell’ipersalivazione e dei problemi correlati alla sua sospensione, non si considera farmaco di prima scelta in alcuna tipologia di crisi.
Il diazepam è il farmaco di prima scelta per il trattamento dello stato di male epilettico e delle convulsioni febbrili; svolge anche un’azione ansiolitica, rilassante a livello neuro-muscolare e sedativo-analgesica.
Il lorazepam è potenzialmente efficace contro tutte le tipologie di crisi epilettiche: può essere utilizzato in caso di stato di male epilettico, disturbi d’ansia, insonnia, stato maniacale, psicosi da astinenza da alcool, spasmi muscolari e attacchi di panico.
Il midazolam trova impiego in caso di stato di male epilettico refrattario.
La biodisponibilità orale delle benzodiazepine, pressoché completa (tranne che per lorazepam e midazolam, che subiscono un massivo effetto di primo passaggio epatico), non risulta influenzata dalla contemporanea ingestione di alimenti. Le vie di somministrazione rettale ed endovenosa sono utilizzate quando sia necessario raggiungere in breve tempo livelli plasmatici adeguati di farmaco (es. convulsioni febbrili, stato di male epilettico). Il midazolam, inoltre, può essere assunto anche per via endonasale e orale (mucosa).
Gli effetti collaterali di più comune riscontro interessano il SNC: soprattutto nei bambini sono frequenti sintomi paradossi come irrequietezza, aggressività e iperattività; vengono riferiti molto spesso anche sedazione, sonnolenza, senso di affaticamento, ipersalivazione o xerostomia, atassia, disartria, instabilità della marcia, allucinazioni, incubi, vertigini, nistagmo, confusione mentale, amnesia (anterograda nel caso del midazolam), stato maniacale, rallentamento psicomotorio, insonnia e depressione con ideazione suicidaria.
La terapia con BDZ necessita di uno stretto monitoraggio, specialmente quando assunte in associazione ad altre sostanze che deprimono il SNC, in quanto possono causare depressione cardio-respiratoria. La prescrizione delle BDZ deve essere evitata in presenza di insufficienza respiratoria (es. patologie polmonari, miastenia gravis), sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, malattie epatiche severe e glaucoma ad angolo chiuso.
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