Uno dei perni sui cui poggia la complessa riforma dell’Ordinamenti didattico delle Scuole di specializzazione in pediatria approvata a inizio anno è rispettare il percorso di formazione europeo. Su questo aspetto si esprime Alfred Tenore, pediatra italiano residente in California, vice presidente del Council for European Specialist Medical Assessment dell’European Union of Medical Specialties (UEMS), past-president dell’European Board of Paediatrics (EBP) ed European Academy of Paediatrics (EAP), responsabile dell’organizzazione delle European Postgraduate Medical Assessments. «Nell’allegato al Decreto ministeriale in cui si stabilisce che in Italia il modello di formazione specialistica in pediatria sia conforme a quello europeo emergono alcuni punti contraddittori. I requisiti continentali per la specialità, previsti dell’European Board of Paediatrics, sono indirizzati all’adempimento di tre aree, la prima relativa all’addestramento, definito training dove vengono indicate le conoscenze teoriche sulle patologie delle specialità pediatriche, poi gli skills o abilità pratiche e infine la formazione specialistica nelle cure primarie o in una delle branche pediatriche successiva al completamento del common trunk, il tronco comune.
I cinque anni di formazione sono confermati nel nuovo modello italiano, ma il significato di tronco comune è diverso, almeno sulla carta. In Italia prevede l’acquisizione di un minimo di 15 crediti fino a un massimo di 60 e non è indirizzato alla formazione clinica di base dello specializzando nell’area della pediatria generale dalla quale poi potrà procedere verso le sub-specializzazioni. In Europa non esistono crediti che trasformano il programma di addestramento in un prolungamento degli studi, in Italia lo specializzando viene viceversa ancora considerato uno studente e non un professionista che sta approfondendo la sua formazione. La seconda area, che corrisponde al Training Requirements for Trainers, offre indicazioni sulle qualifiche dei formatori e sul rapporto tra numero di specializzandi e addestratori, la terza area riguarda il processo di accreditamento delle istituzioni i cui requisiti dovrebbero essere affidati a una commissione esterna. Dal Decreto italiano non si riesce a capire come questo parametro previsto dall’EBP possa essere rispettato. In breve in Italia ci focalizziamo troppo sulla trasmissione d’informazioni rispetto alla formazione, pensiamo ancora in termini di scuola e studenti e non di medici specializzandi, inoltre c’è un’ampia variabilità tra una Scuola e l’altra, questione che la riforma non ha risolto. Paragonati ai colleghi americani gli italiani hanno una preparazione teorica migliore, ma sono più carenti nel risolvere le problematiche pratiche. Se la formazione delle Scuole di specialità si concentrasse più sul fare sarebbero tra i migliori in Europa e direi nel mondo».