Piccoli adulti soli

 

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Sono molti i punti critici rispetto all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia: dall’identificazione e accertamento dell’età, al reperimento di posti in comunità per minori, ai tempi lunghi di nomina dei tutori. In un complesso quadro normativo e burocratico il ruolo del pediatra nella rete di accoglienza comprende non solo l’attività diagnostico-terapeutica.

 

di Valeria Confalonieri

Piccola o piccolo, o appena cresciuta/o. Meno di 18 anni. Senza papà o mamma. Senza qualcuno che si possa occupare di lei o di lui. In un Paese straniero, dove si parla una lingua che non conosce. Con alle spalle una storia presumibilmente di sofferenza, paura, un viaggio lungo. Ognuno diverso dall’altra/o, ognuno con un suo fardello da portare, elaborare, con cui fare i conti. “Per minore straniero non accompagnato si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo politico, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano” (art. 1 co.2, D.P.C.M. n. 535/1999)», si legge sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali italiano (http://www. lavoro.gov.it/AreaSociale/ Immigrazione/minori_ stranieri/ Pages/default.aspx). Una definizione che racchiude un insieme di vite ognuna diversa dall’altra, di esseri umani ognuno con bisogni da capire, cui trovare una soluzione, una strada possibile.

Qualche numero

Secondo il rapporto di monitoraggio del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, al 31 dicembre 2014 i minori stranieri non accompagnati (MSNA) erano oltre diecimila (10.536), un numero molto superiore rispetto alla stessa data dell’anno precedente (6.319) e oltre 1.500 in più rispetto alla rilevazione di fine settembre 2014. A questi sono da aggiungere 3.707 minori irreperibili, pari al 35,2% dei minori presenti. I Paesi di origine con la maggiore rappresentazione sono l’Egitto (quasi 2.550 MSNA), il Gambia e la Somalia (intorno a 1.100). Inoltre, il 60 per cento dei MSNA proviene da 5 Paesi: Egitto, Eritrea, Gambia, Somalia e Albania. I maschi sono in numero sempre molto superiore alle femmine, coprendo il 94,5 per cento, e la fascia di età più rappresentata rimane quella dei 17 anni (praticamente uno su due), anche se la percentuale è diminuita rispetto al 2013, mentre è invece aumentata quella dei 16 anni (28,7 per cento nel 2014). Seguono i 15 anni (12,5), 7-14 anni (9,0) e infine la fascia da 0 a 6 anni con lo 0,3 per cento. Spiega Rosalia Maria Da Riol, pediatra, del Gruppo di lavoro nazionale per il bambino migrante (GNLBM) della Società italiana di pediatria (SIP): «Le femmine sono molto poche in percentuale perché difficilmente una ragazza viene mandata sola a realizzare un progetto migratorio predefinito; quasi sempre viene inserita dalla famiglia stessa (in modo più o meno consapevole) in un percorso di accompagnamento, da parte di altre persone, che spesso si configura a rischio di violenza, sopruso e inclusione nelle maglie della criminalità organizzata e dello sfruttamento sessuale».

Le prime difficoltà e problematiche

Arrivano qui dunque da soli, alcuni con un progetto migratorio preciso, con un senso di responsabilità nei confronti delle famiglie e un peso da portare, obiettivi da raggiungere e non deludere, molti poco meno che maggiorenni. E le tematiche principali da affrontare possono essere raggruppate in cinque punti: «Le condizioni di prima accoglienza e il tempo di permanenza nelle strutture di prima accoglienza; le procedura di identificazione e l’accertamento età; il reperimento posti in comunità per minori secondo bisogni e caratteristiche individuali; i tempi lunghi di nomina dei tutori (di solito sindaci pro tempore, uffici dei servizi sociali, responsabili delle comunità); la mancanza di continuità del Fondo nazionale per l’accoglienza dei MSNA» illustra Simona La Placa, del GLNBM e della Società italiana medicina della migrazioni (SIMM). «I MSNA per espressa previsione legislativa non possono essere espulsi (anche se non sono richiedenti asilo) e devono essere collocati in un luogo sicuro. Invece attendono nelle strutture di primo soccorso e accoglienza che venga individuato un posto nelle comunità per minori dalle Autorità competenti. Nell’ambito di un approccio con carattere emergenziale hanno continuato a essere adibite alla prima accoglienza strutture del tutto inadeguate come struttura e/o gestione con mancanza o insufficienza di spazi idonei ad assicurare la necessaria separazione dagli adulti, servizi igienici, docce, letti, nonché di procedure che garantiscano ai migranti di ricevere in tempi rapidi beni e servizi primari». Una permanenza in strutture spesso non adeguate e spesso prolungata, continua La Placa, per «l’insufficiente o totale mancanza di disponibilità economica delle comunità per minori, con conseguente rischio che questi ultimi si allontanino prima del collocamento in comunità e dell’adozione dei provvedimenti previsti per garantire la loro protezione (per esempio, la nomina del tutore e l’ottenimento del permesso di soggiorno)». Un altro elemento critico è rappresentato dalle procedure per la determinazione dell’età delle ragazze e ragazzi, che li collochi o meno nella fascia di minori, con un conseguente percorso possibile assai diverso. «Essere identificati come minori costituisce il presupposto essenziale affinché possano beneficiare delle misure di protezione alle quali hanno diritto. Le prassi per l’identificazione dell’età sul territorio nazionale sono disomogenee. Inoltre, a causa della mancanza di una procedura chiara, sussiste anche il rischio che migranti adulti vengano identificati come minorenni e viceversa minori identificati come maggiorenni con il ricorso alla radiografi a del polso e della mano sinistra (procedura non riconosciuta a livello internazionale e priva di evidenza scientifica)» sottolinea Da Riol.

Bambini e ragazzi da accogliere e seguire

In questo quadro normativo e burocratico al centro rimangono minori con necessità e bisogni anche sanitari verso i quali il pediatra ha un ruolo nella rete di accoglienza. «L’arrivo di nuove tipologie di bambini, da contesti geopolitici e con modalità di viaggio differenti, ha fatto nascere nel GLNBM-SIP l’esigenza di nuove indicazioni, con linee guida finalizzate all’individualizzazione del percorso sanitario, valorizzando lo specifi co ruolo dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, la differenziazione tra indagini di primo e secondo livello e la definizione di percorsi d’inclusione nel SSN italiano.

La strutturazione in diversi livelli d’intervento permette al pediatra di utilizzare queste indicazioni, adattandole a ognuna delle diverse tipologie di minori migranti e al singolo bambino. Ogni standardizzazione nell’approccio rischia di rivolgere l’attenzione su aspetti epidemiologici e infettivologici generali con ricadute negative, sia sui bisogni peculiari del singolo sia sulla spesa sanitaria, senza un reale vantaggio in termini di salute pubblica» spiega Da Riol. «Anche nell’ambito specifico dei MSNA è pericoloso eseguire generalizzazioni, in quanto le caratteristiche cliniche di ognuno di loro dipendono dal Paese di origine, dai motivi che hanno determinato il viaggio (economici, politici, sociali), dalla loro storia familiare (alcuni hanno lasciato i genitori nel paese di origine che comunque continuano a supportarli economicamente, altri li hanno persi in guerra o durante il percorso migratorio), dalla loro condizione sociale pre migrazione (molti appartengono a classi medio borghesi con una storia sanitaria e di prevenzione molto simile a quella dei nostri minori), dal loro progetto migratorio (alcuni hanno avuto le condizioni e il tempo necessari a elaborare un progetto nel quale le prospettive di una vita migliore sono ben rappresentate, altri fuggono senza una meta designata e una ben definita prospettiva)» aggiunge La Placa.

Attenzioni sanitarie fisiche e psichiche

Il pediatra che prende in carico un MSNA ha diversi aspetti dunque da considerare, frutto della storia e del percorso di ognuno. A questi sono da aggiungere le problematiche di salute sia fisica sia psichica cui prestare attenzione e cura: «Vi sono le possibili patologie contratte nel paese d’origine e la loro salute è minata dalle dure condizioni di viaggio: traumi fisici (ustioni chimiche, colpi di sole, ipotermia), disidratazione, infezioni respiratorie e gastroenteriche acute, malnutrizione, denutrizione. Inoltre, la prolungata presenza in centri di prima accoglienza destinati per lo più a persone adulte li mette a rischio di stati morbosi secondari a condizioni di promiscuità e disagio ambientale (infezioni, malnutrizione eccetera)» sottolinea La Placa. «Non evidenti subito ma altrettanto gravi sono i traumi psichici (stress da sradicamento, perdita di familiari, abusi) che, se non curati al più presto, sono destinati a segnare per sempre la loro vita. Un approccio psicosociale si configura particolarmente importante in quanto permette di mettere il minore in sicurezza mitigando la riattivazione di sintomi post traumatici ed evitando l’isolamento sociale, fattori di rischio per lo sviluppo o il mantenimento di problematiche di salute mentale. È un approccio che facilita la negoziazione culturale che il MSNA deve avviare nel Paese ospite e favorisce la rielaborazione della sua storia personale in una prospettiva di vita futura. Solo dopo aver costruito con questi minori concrete opportunità di resilienza e di accoglienza si potrà affrontare l’esperienza del trauma e le sue conseguenze». In questo contesto emerge quindi con ulteriore vigore il ruolo cruciale della fi gura del pediatra, come ribadito da Da Riol: «Ricordiamo che (art.34, comma 1 e art.19, comma 2 del T.U.) i MSNA hanno diritto all’iscrizione obbligatoria al SSR e all’assistenza continuativa del pediatra di libera scelta (usufruendo tra l’altro del Codice di esenzione F02). Quest’ultima comprende, oltre all’attività diagnostico-terapeutica, anche l’educazione sanitaria, la prevenzione e l’individuazione dei primi segni di disagio psichico, sempre in stretta collaborazione con le altre professionalità (mediatore culturale, psicologo, assistente sociale, eccetera). Il pediatra dovrebbe inoltre essere “catalizzatore” del processo di integrazione di questi bambini, utilizzando le sue competenze transculturali ed evitando di creare percorsi paralleli a quelli già strutturati per la minore età nell’ambito del SSN del nostro Paese, in un’ottica d’inclusione e di equità».

La voce dei pediatri

«Il pediatra deve far sentire che esiste il problema, portarlo all’attenzione, sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo istituzionale rispetto ai bambini migranti e ai minori stranieri non accompagnati». A parlare è Federica Zanetto, pediatra di famiglia dell’Associazione culturale pediatri (ACP). «È importante una sensibilizzazione multidisciplinare, per rendere il messaggio ancora più stringente ed efficace. Il pediatra deve collaborare con chi già si occupa e segue queste/i ragazze/i nell’ambito della rete di cura; deve lavorare allo sviluppo di una sensibilità collettiva anche nella comunità scientifica, consapevole che i bambini migranti e i minori stranieri non accompagnati devono essere oggetto di attenzione particolare e dedicata all’interno della migrazione in generale. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla formazione, fondamentale per garantire risposte competenti e appropriate nella cura e nella promozione della salute del minore straniero: molti sono gli elementi di complessità, i bisogni di conoscenza, le criticità da considerare per capire in che modo attrezzarsi rispetto a sfide che sollecitano sempre più operatori, servizi e strutture, e anche la società civile».

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