A fine febbraio scorso, il presidente Vladimir Putin ha dato ordine alle forze armate russe di entrare in Ucraina, determinando di fatto l’inizio di una guerra in piena Europa che si sta rivelando ogni giorno sempre più drammatica.

Non è ovviamente compito de Il Pediatra analizzarne le motivazioni e fornire interpretazioni geopolitiche, ma è certamente doverosa una riflessione sul problema dei milioni di migranti – in gran parte rappresentati da minori con le loro madri o non accompagnati – e della loro salute. L’European Paediatric Association (EPA/UNEPSA) ha denunciato come qualsiasi conflitto militare abbia un impatto devastante sulla vita e sulla salute dei bambini, degli adolescenti e delle loro famiglie, dichiarandosi estremamente preoccupata per il benessere e la sicurezza di tutti i minori che vivono in Ucraina (www.epa-unepsa.org).

L’EPA/UNEPSA ha, inoltre, esortato le Società scientifiche pediatriche delle varie nazioni europee a fare ogni possibile sforzo per proteggere la salute dei bambini che vivono in Ucraina e di quelli che stanno cercando rifugio in altri Paesi.

Prontamente, la Società Italiana di Pediatria ha elaborato un vademecum per l’accoglienza dei profughi in fuga dall’Ucraina, che prende in esame diversi aspetti burocratici, preventivi e di cura (www.sip.it). Tra i primi viene necessariamente ricordato il codice STP, in modo da garantire ai rifugiati gli stessi diritti dei cittadini italiani per l’accesso alle prestazioni sanitarie, oltre alla possibilità di scelta di un pediatra di famiglia.

Tra gli aspetti preventivi merita di essere segnalata la necessità di verificare lo stato vaccinale e l’eventuale presenza di patologie infettive ormai abbastanza rare nella popolazione pediatrica italiana, come tubercolosi e HIV, ai fini di un adeguato e tempestivo inizio delle terapie.

Vi è, poi, la necessità di garantire certezza e continuità delle cure ai minori con patologie croniche e rare ad alta complessità assistenziale, che potrebbero sperimentare un improvviso e devastante taglio della somministrazione di farmaci a volte salvavita, basti pensare a prodotti di uso domiciliare quotidiano come l’insulina o l’idrocortisone rispettivamente nei bambini con diabete mellito tipo 1 o insufficienza surrenalica.

In quest’ambito un ruolo primario dovrà necessariamente essere assolto dai grandi ospedali pediatrici, IRCCS e centri di III livello localizzati in UUOO pediatriche universitarie o in ospedali di rilievo nazionale, ma tutti i pediatri sono chiamati a dare il loro contributo sia favorendo il collegamento tra i rifugiati e i servizi specialistici quando necessario, sia facendosi carico direttamente del problema nelle situazioni più urgenti risolvibili in ambito territoriale.

Oltre agli aspetti medici, non bisogna dimenticare quelli legati alla salute mentale. Sottolinea la European Society of Child and Adolescent Psychiatry (www.escap.eu) che gli effetti dello stress indotto dai conflitti militari colpiscono in primo luogo i bambini fin dalla vita prenatale, con un aumento delle nascite pretermine, dei livelli di ansia e depressione e di disturbo post-traumatico da stress con ripercussioni sulla salute fino all’età adulta nei bambini ucraini direttamente esposti al conflitto e anche in quelli degli altri Paesi europei che lo vivono attraverso i media.

Ciò aggiunge ulteriore stress a quello generato dalla crisi per la pandemia da Covid-19, che ha pericolosamente aumentato i disturbi mentali tra i minori.

E’ quindi tempo per tutti i Pediatri – oltre a condividere dichiarazioni di principio (“Speriamo sinceramente che negoziati pacifici aiutino a porre fine a questa guerra e alle sofferenze inutili il prima possibile!” EPA/UNEPSA) – di adoperarsi per una concreta presa in carico dei minori in difficoltà medica o neuropsichiatrica in conseguenza di queste complesse vicende.