Effetti negativi per il neonato anche dall’assunzione di piccole quantità: l’appello della SIN e il sostegno alla campagna Zero alcol, zero FASD

L’esposizione all’alcol, anche moderata, comporta rischi gravi per la salute sia della madre sia del feto con possibili conseguenze anche a lungo termine, come la FASD (Fetal Alcohol Spectrum Disorders, Spettro dei Disturbi Feto Alcolici), una disabilità permanente neurocognitiva per l’esposizione all’etanolo in utero, di cui la FAS (Fetal alcohol syndrome, Sindrome Feto Alcolica) è la forma clinica più grave e pienamente espressa.

La Società Italiana di Neonatologia (SIN), con l’occasione della Giornata mondiale della sindrome feto-alcolica e disturbi correlati (9 settembre), riporta l’attenzione sul tema e ricorda come l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia indicato gravidanza e allattamento come momenti di particolare vulnerabilità nell’esposizione all’alcol, per mamma e feto. Spiega Luigi Orfeo, presidente della SIN. “L’alcol passa sempre attraverso la placenta, a prescindere dall’epoca gestazionale, dalla quantità assunta o dal tipo di bevanda e anche un consumo ‘occasionale e moderato’ può avere conseguenze permanenti e irreversibili sul nascituro a causa dell’azione embriotossica e teratogena dell’etanolo. Il feto, infatti, non è in grado di metabolizzare l’alcol, perché privo degli enzimi necessari e quindi anche una minima quantità ne pregiudica la salute. Perciò l’alcolemia fetale è sovrapponibile all’alcolemia materna, quando la mamma beve, il bimbo beve”.

Uno studio in corso in Italia (Prevenzione, diagnosi precoce e trattamento mirato dello Spettro dei Disturbi Feto Alcolici (FASD) e della Sindrome Feto Alcolica (FAS)), avviato dall’ l’Istituto Superiore di Sanità (coordinato da Simona Pichini), si propone di monitorare il consumo di alcol in gravidanza e di esposizione all’etanolo in utero, di sensibilizzare la popolazione sui danni alcol correlati per la salute materno-infantile e di formare il personale socio-sanitario su prevenzione, diagnosi e trattamento mirato della FASD.

Il progetto coinvolge neonatologi della SIN (tra i quali Luigi Memo, past president del Gruppo di Studio di Genetica Medica della SIN) e operatori sanitari in sei Unità Operative distribuite per aree geografiche di competenza, che hanno attivato a loro volta centri collaboratori in tutta Italia, con il coinvolgimento di gestanti e neonati. Sono previsti questionari sulle abitudini alimentari prima e durante la gravidanza e la donazione di un campione biologico (una ciocca dei capelli delle mamme o un campione di meconio del neonato nelle prime ventiquattro ore di vita) per la ricerca in laboratorio dell’etilglucuronide (biomarcatore specifico del metabolismo dell’alcol), nonché interventi di formazione e sensibilizzazione del personale sanitario (ostetriche, pediatri, medici di famiglia, ginecologi, assistenti sociali, psicologi). Un lavoro che offre la possibilità di trasformare il concetto di ‘piccola dose piccolo danno’ in ‘zero alcol zero FASD‘.