Dal Congresso dell’ACP un appello affinché si inserisca nei bilanci di salute dei pediatri un’indagine sulle tendenze al suicidio
Un aumento del 60% negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia da COVID-19, dell’autolesionismo in bambini e adolescenti. A parlarne l’Associazione Culturale Pediatri (ACP), che richiama l’attenzione sui numeri in aumento delle consulenze in pronto soccorso e indica la possibilità di indagini da parte dei pediatri nei bilanci di salute sui pensieri degli assistiti. Un tema che è stato trattato nell’ambito del 36° Congresso Nazionale dell’associazione.
Numeri di situazioni autolesionismo in aumento da anni, con un decorso descritto da Stefano Vicari, professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile, che dirige l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: “Ma il vero punto di svolta è stato il 2013. Quell’anno al pronto soccorso psichiatrico del Bambin Gesù la media si attestava – coerente con il resto d’Italia – sulle 250 consulenze l’anno, meno di una al giorno. Ma da quell’anno è iniziata una crescita che ci ha portato all’alba della pandemia, nel 2019, a mille consulenze l’anno. Nel 2022 e 2023 abbiamo superato le 1.850 consulenze annue, 5 al giorno, e di queste consulenze il 60% riguarda l’autolesionismo, fenomeno sostenuto da depressione e disturbi dell’umore, e anticamera del suicidio”.
Stefano Vicari approfondisce anche le ragioni per le quali il 2013 rappresenterebbe un anno cruciale per questo aumento: “È interessante notare che quell’anno ci fu il crollo dei prezzi degli smartphone. Le nuove dipendenze, le dipendenze comportamentali, vedono il telefonino tra i fattori di rischio principali. Noi paghiamo un così alto prezzo perché non educhiamo i bambini. È il regalo della prima comunione. I rapporti di Save the Children parlano di bimbi che a 6/7 anni passano già tante ore davanti ai device. Si toglie spazio alle attività ricreative, si aumenta la sedentarietà e si genera vera e propria dipendenza, con l’attivazione dei circuiti della ricompensa. Ne seguono comportamenti di craving, ricerca spasmodica; aggressività, quando viene tolto; chiari segni di vera dipendenza”.
Viene riportato come il fenomeno dell’autolesionismo fosse intorno al 20-30% prima della pandemia, arrivando attualmente al 40%; inoltre almeno il 10% dei bimbi e il 18% degli adolescenti ha un disturbo mentale, la malattia più diffusa in assoluto in questa fascia d’età, e il rischio maggiore è appannaggio delle femmine. “Il fenomeno va monitorato perché è il primo fattore di rischio per i tentati suicidi e il suicidio è la seconda causa di morte tra i 10 e i 25 anni”, prosegue Sergio Vicari, soffermandosi sul ruolo dei pediatri: “Diventa fondamentale che nei bilanci di salute il pediatra indaghi, in un bambino oltre i 10 anni, se ha mai pensato di procurarsi la morte. Così come vanno cercati segni di autolesionismo. Serve una forte collaborazione con i pediatri, che a loro volta formino i genitori per promuovere la salute mentale e per capire quali sono i primi segnali di disagio e perché, allo stesso tempo, imparino a non fraintendere il concetto di privacy, e controllino regolarmente telefono, attività, comportamenti, frequentazioni e il corpo dei propri figli, fino alla loro maturità”.
Conclude Sergio Vicari con esortazioni e consigli: “Educate, date regole, non abbiate paura di dire di no e abbiate voi per primi un uso responsabile dei device. Non parlare molto: ma fare, dare l’esempio. A cena, a pranzo: via il telefono. Non sacrificate il tempo con loro chattando. Educate e siate testimoni dei valori in cui credete e intercettate i segni di disagio. I cambiamenti ci devono preoccupare: non vai più bene a scuola, non dormi più bene, mangi meno, sei irritabile. E ‘sfogliate’ i vostri figli. La privacy vale per gli adulti, il controllo del corpo e il controllo dei device è fondamentale. Diteglielo: guarderò che siti frequenti e le tue chat, perché sono strumenti pericolosi. Anche rispettando tutto questo, non darei uno smartphone prima dei 12 anni, e mai l’accesso ai social prima dei 14/16 anni, come evidenziato dai più recenti studi”.