Pubblicati i risultati dello studio del Bambino Gesù con i dati di efficacia e sicurezza del trattamento sviluppato all’ospedale

Remissioni complete nel 40% dei casi, risposta globale del 77% nei pazienti a basso carico e sopravvivenza a 5 anni vicina al 90% se il trattamento è effettuato in fase precoce. Sulle pagine di Nature Medicine sono stati pubblicati i risultati della terapia con le cellule CAR-T GD2, sviluppate e sperimentate all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che si dimostrano sicure ed efficaci nel trattamento del neuroblastoma refrattario o recidivante. Il trattamento è frutto di anni di ricerca e di un lavoro congiunto dell’Officina Farmaceutica e delle aree di Oncoematologia, Terapie Cellulari, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico.

Si tratta della fase finale studio clinico di fase I/II, avviato nel 2018, e i dati confermano e rafforzano i primi risultati relativi a un gruppo più piccolo di pazienti (27) pubblicati nel 2023 sul New England Journal of Medicine. Complessivamente i pazienti con neuroblastoma coinvolti in quest’ultimo lavoro sono 54, di cui 35 nella sperimentazione clinica e 19 trattati in regime di esenzione ospedaliera per le terapie avanzate, sottoponendoli all’infusione di cellule CAR-T GD2 prodotte a partire dai propri linfociti e modificate in laboratorio.

I risultati dello studio

Nel complesso, due pazienti su tre hanno risposto positivamente alla terapia e il 40% ha raggiunto una remissione completa a sei mesi dall’infusione. Nei bambini trattati con un basso carico di malattia alla dose raccomandata la risposta globale ha raggiunto il 77%, con una sopravvivenza a cinque anni del 68% e una sopravvivenza libera da eventi del 53%. Nei pazienti trattati in fase precoce, dopo una o due linee di terapia, i risultati sono ancora migliori: sopravvivenza a cinque anni vicina al 90%, contro il 43% dei bambini già sottoposti a tre o più linee di cura. Inoltre, il trattamento in fase di consolidamento, dopo la prima linea e in assenza di malattia evidente ma con alto rischio di ricaduta, ha dato esiti promettenti, con sette degli otto bambini trattati (con un atteso di ricaduta in almeno 4 di loro) tuttora liberi da malattia (follow-up mediano di 15 mesi).

Viene poi segnalato che nei 13 pazienti i cui linfociti T erano stati raccolti al momento della diagnosi, prima dell’esposizione alla chemioterapia la sopravvivenza globale a 5 anni ha raggiunto il 100% e la sopravvivenza libera da eventi il 66,5%, contro rispettivamente il 33,2% e il 22,6% dei casi trattati con cellule prelevate più tardi, al momento della recidiva; questo dimostrerebbe la possibilità di ottenere CAR-T più funzionali ed efficaci utilizzando linfociti non compromessi dai trattamenti citostatici, fornendo una forte evidenza per raccogliere cellule già alla diagnosi per aumentare le possibilità terapeutiche future.

Per quando riguarda la sicurezza del trattamento, nei rari casi di neurotossicità grave, la condizione è stata risolta grazie all’attivazione del ‘gene suicida’ iC9, che consente di interrompere l’attività delle CAR-T in caso di effetti collaterali gravi.

“Questo studio rappresenta un ulteriore passo avanti nella lotta contro il neuroblastoma. Rispetto all’analisi intermedia del 2023, i dati oggi pubblicati confermano e addirittura migliorano i risultati: abbiamo dimostrato che, se somministrata nelle appropriate condizioni, la terapia con cellule CAR-T GD2 offre ai bambini affetti da questa grave malattia prospettive di guarigione durature”, afferma Franco Locatelli responsabile del Centro Studi Clinici Oncoematologici e Terapie Cellulari del Bambino Gesù. “Abbiamo iniziato questo percorso molti anni fa con l’obiettivo di dare una nuova chance di guarigione ai bambini con neuroblastoma. I dati pubblicati oggi ci dicono che quella strada era giusta e che siamo sempre più vicini a rendere questa terapia parte integrante delle cure standard”.

Il nuovo passo è ora rappresentato da uno studio multicentrico europeo di fase II in fase di avvio, concordato con l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) che coinvolgerà bambini con un carico di malattia limitato e già trattati con non più di due linee di terapia (condizioni in cui i risultati hanno mostrato i maggiori benefici): l’obiettivo è confermare su scala più ampia i dati e aprire la strada a una futura disponibilità della terapia anche in altri centri internazionali.

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