Un modello nutrizionale positivo

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Secondo i dati dell’Institute of Health Metric and Statistic (IHME), l’Italia si pone tra i paesi europei con una maggiore aspettativa di vita alla nascita (quasi 80 anni per gli uomini e 85 anni per le donne) con un costante incremento negli ultimi anni (www.healthdata.org). Come noto, tale situazione è dovuta solo in parte ai progressivi miglioramenti della medicina, mentre in larga parte può essere attribuita a fattori socio-economici (Burgio GR, Una Pediatria per la Società che cambia, Tecniche Nuove 2007).

Alcuni indicatori sono tuttavia fonte di riflessioni. Sempre i dati dell’IHME dimostrano che tra i principali fattori di rischio in grado di favorire sia una mortalità più precoce rispetto alle aspettative sia disabilità croniche (circa il 57% degli anziani ne sono oggi affetti) vi sono stili di vita inadeguati, in particolare quelli nutrizionali, e le diverse patologie a essi collegati come obesità, diabete tipo 2 o intolleranza glucidica, ipercolesterolemia, abuso di alcol. Tale situazione deriva anche da un progressivo abbandono di modelli alimentari “tradizionali” per la nostra popolazione, complessivamente riassumibili con il termine di “dieta mediterranea”. Definita dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’Umanità, la dieta mediterranea rappresenta un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni, includendo le colture, la raccolta, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e il consumo di cibi basati principalmente su olio di oliva, cereali e verdure, frutta fresca o secca e una moderata quantità di pesce, latticini e carne. Tale modello alimentare, rimasto relativamente costante nel corso dei secoli tra le popolazioni del bacino del Mediterraneo, può anche aver favorito assetti genetici o epigenetici in grado di migliorare, ad esempio, la salute cardio-vascolare (Fitò et al. Nutrients 2016; 8: 218).

A partire dagli anni ‘50-’60 del secolo scorso, si stanno invece imponendo “nuove modalità” di alimentazione, favorite anche dai media e dalle modificazioni di ordine sociale, dei processi produttivi e di distribuzione degli alimenti, che possono incidere negativamente sul benessere fisico e neuro-cognitivo delle attuali e delle future generazioni. Nell’intervista di questo mese, il professor Zuccotti (vedi a pagina 12) ribadisce come i primi 1000 giorni (compresi quelli di vita intrauterina) sono delle “key step” anche dal punto di vista nutrizionale, in quanto possono permettere di educare il bambino a una maggiore varietà di gusti e sapori con un “imprinting” positivo per le età successive, oltre a favorire una migliore attuazione del “programming” genetico.

Dunque, per un migliore stato di salute di bambini e adolescenti, è indispensabile la capacità dei pediatri di promuovere modelli nutrizionali positivi, proprio partendo dalla nostra tradizione, ma aggiornandola con le più attuali conoscenze scientifiche in campo nutraceutico in modo da indurre scelte nutrizionali più consapevoli nell’ambito di tutto il nucleo familiare. A questo proposito, è ormai acquisito che interventi educativi/preventivi basati unicamente sull’informazione, pur aumentando le conoscenze, hanno ridotte possibilità di modificare nei fatti false credenze e scelte nutrizionali erronee. Dovrebbero essere quindi sviluppate nuove strategie attraverso attività esperienziali, che vedano direttamente coinvolti bambini e genitori su alimentazione e salute del corpo e della psiche. Giocampus è un primo concreto esempio di promozione attiva a una corretta cultura del benessere attraverso percorsi di educazione alimentare e motoria realizzati mediante una virtuosa collaborazione tra pubblico e privato. È auspicabile che sia un seme dai molti frutti.

Silvano Bertelloni