Nascono meno bambini e genitori più ansiosi

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Negli ultimi 10 anni oltre 120 mila nati in meno Italia e il fenomeno ha assunto dimensioni strutturali, certifica ISTAT – La denatalità ha un impatto significativo sull’attività del pediatra di famiglia, cui paradossalmente viene richiesto maggior impegno assistenziale – Le famiglie sono sempre più ‘dipendenti’ dal proprio pediatra.

Al via domani il convegno “I pediatri e le sfide del nuovo millennio: denatalità e organizzazione sanitaria” organizzato dalla sezione regionale Puglia di Simpef – Sindacato Medici Pediatri di Famiglia, in programma a Bari il 18 e 19 gennaio.

«Il convegno rappresenta un momento cruciale per conoscere i cambiamenti a cui sta andando incontro la professione del pediatra di famiglia alla luce dell’attuale politica sanitaria nazionale e del suo riflesso sulle realtà regionali– spiega Maria Domenica Ferri, Segretario Regionale Simpef Puglia. Centrale sarà il tema della denatalità di cui discuteranno pediatri di famiglia, clinici, decisori e politici della Regione Puglia, delle regioni del Centro e Sud Italia ed esperti nazionali. Questo fenomeno, che non si limita ad avere una rilevanza regionale, ma rappresenta un’emergenza sociale per il Paese, sta diventando anche emergenza sanitaria. – La riduzione delle nascite, oltre ad avere un risvolto sul sistema sanitario, basti pensare alla chiusura dei punti nascita, porta a cambiamenti anche nell’attività del pediatra di famiglia. Se da un lato si assiste a una riduzione del numero di bambini assistiti negli ambulatori; dall’altro, si osserva una maggiore ‘ansia’ delle famiglie rispetto alla salute dei propri bambini, che richiede un impegno maggiore da parte del pediatra di famiglia: il superfluo diventa necessario. Tutto questo rischia di far perdere di vista i reali bisogni della popolazione pediatrica quali l’emergenza sociale ed educativa, che rappresentano alcune delle sfide del nuovo millennio cui il pediatra deve rispondere».

Secondo il rapporto Istat presentato a fine novembre scorso, infatti, nel 2017 i bambini nati sono stati oltre 15 mila in meno rispetto al 2016 e quasi 120 mila in meno rispetto al 2008. Questa tendenza pare essere confermata anche nel 2018: i dati provvisori riferiti al primo semestre mostrano già 8.400 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Il calo della natalità in Italia sembra quindi aver assunto caratteristiche strutturali.

«Le conseguenze sociali della denatalità sono certamente sottovalutate – commenta Ketty Vaccaro, responsabile Area Welfare e Salute CENSIS. –Un primo aspetto è di nuovo strutturale: l’Italia è anche un paese in declino demografico, con la popolazione in calo per il terzo anno consecutivo. Nel 2017 la popolazione è diminuita di oltre 100 mila unità rispetto all’anno precedente e si tratta di una decrescita con problemi specifici legati alla riduzione della popolazione giovanile e della quota di attivi, che impattano fortemente sia in termini di sviluppo economico del Paese che di sostenibilità del welfare, già messi a dura prova dai lunghi anni della crisi. Inoltre, pur a fronte di una diffusa consapevolezza almeno dichiarata – l’88% degli Italiani ritiene che in Italia si facciano pochi figli – appare inalterato un contesto sociale difficile che sposta sempre più avanti nel tempo le possibilità per i giovani di rendersi autonomi e di fare scelte di procreazione. Infine, il 61% attribuisce un ruolo rilevante alle politiche familiari a sostegno della genitorialità, però al momento molto limitate e caratterizzate dalla atavica carenza di servizi per la prima infanzia».

«Indubbiamente – dice Rinaldo Missaglia, Segretario Nazionale Simpef – l’insufficiente accessibilità agli asili nido e alle scuole materne in associazione all’assenza delle figure di sostegno extra-genitoriale parentale, in primis la figura dei nonni, hanno contribuito in questi anni alla riduzione del tasso di natalità delle famiglie italiane. Questo scenario vede i genitori colpiti da un crescente complesso di inadeguatezza, ansia, ma anche de-responsabilizzazione, con una conseguente maggior dipendenza dalla figura del pediatra, considerato il depositario dell’offerta delle prestazioni sanitarie specialistiche, qualificate, quasi immediate e a costo zero dal modello della nostra assistenza sanitaria. Per rispondere a questo fenomeno, è necessario introdurre misure che rafforzino la percezione di adeguatezza genitoriale, in particolare nel fornire le cure al proprio bambino, secondo il principio espresso dall’Organizzazione mondiale della sanità per cui ‘l’educazione terapeutica consiste nell’aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la malattia e il trattamento e a collaborare alle cure’. Occorre, inoltre, riformare l’organizzazione sanitaria secondo i principi di presa in carico e continuità delle cure, fedeli al prevalente concetto di rapporto di fiducia pediatra – bambino – famiglia, valorizzando il ‘patto per la salute del bambino e dell’adolescente’».

A queste due azioni potrebbe associarsi un’ulteriore misura concreta che contribuisca a creare – in maniera più attuale e moderna – una vera e propria rete della presa in carico del bambino, dalla nascita sino alla maggiore età. «Una misura che, a livello locale, crei una vera e propria rete tra pediatri di famiglia, centri ospedalieri e altri specialisti, in grado di contribuire, soprattutto nei casi di maggior necessità, a una gestione integrata del bambino, che diventa adulto solo al compimento del diciottesimo anno, come sempre l’Organizzazione mondiale della sanità ricorda. Esistono anche strumenti giuridici, nell’ambito della contrattazione pattizia, cui un sistema regionale potrebbe ricorrere per attuarla. Ciò sarebbe fondamentale anche per affrontare, con le più adeguate competenze del pediatra, le criticità sempre più emergenti della fase di vita adolescenziale, che sono imputabili all’assoggettamento a stili e condizioni di vita inappropriati. Mi riferisco a sedentarietà, errori alimentari, vere e proprie dipendenze dai passatempi elettronici, sino all’abuso di alcol e sostanze – è di questi giorni la notizia della nuova moda che sta prendendo piede tra i giovani di mixare gazzosa e sciroppo per la tosse, per uno ‘sballo’ a buon mercato – fenomeni anch’essi spesso conseguenti a inadeguatezza dovuta a scarsa conoscenza da parte degli adulti di riferimento, genitori compresi, talvolta loro malgrado», aggiunge il Segretario Simpef.

«Ciò che bisogna assolutamente evitare – conclude – è un intervento non ponderato, che sull’onda del fenomeno denatalità vada a stravolgere un sistema che finora ha garantito risposte ai bisogni reali ritenute soddisfacenti dalla maggior parte della popolazione, come confermato da recenti indagini che vedono un ampio gradimento dei genitori circa l’operato e il ruolo di ‘consigliere’ del pediatra di famiglia».