Spesso asintomatiche, possono dare segno della loro presenza nella prima infanzia ed essere scoperte a seguito di una frattura

Una frattura per un evento minore, che normalmente non l’avrebbe causata. Nella maggior parte dei casi è così che viene scoperta la presenza delle cisti ossee giovanili, che sono quasi sempre asintomatiche ma possono appunto causare quelle che vengono definite “fratture patologiche”. In altri casi però possono anche essere fonte di dolore, localizzato alla spalla se sono a livello dell’omero o all’anca se sono a livello del femore. Importante, spiega Cosimo Gigante, direttore dell’UOSD di Ortopedia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova e presidente uscente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica, “che sintomatologie di dolore localizzate e persistenti vadano indagate con la radiografia”.

Le cisti ossee interessano le ossa lunghe e sono zone in cui l’osso è “scomparso”, da cui il collegamento con le fratture. “Dal punto di vista della patologia ossea, in età pediatrica è considerata comune, ma non per questo particolarmente diffusa. In un centro di riferimento per l’Ortopedia pediatrica può capitare di osservare 4-8 cisti l’anno in funzione del proprio bacino di utenza”. prosegue Cosimo Gigante. “Non c’è predisposizione, da quanto si sa non è una malattia geneticamente determinata, né è conosciuta la causa che ne provoca la formazione, anche se a volte viene collegata a un trauma pregresso”.

Una volta identificata la cisti, il trattamento prevede diverse possibilità e passaggi. “Dalla radiografia la cisti risulta facilmente riconoscibile a un occhio esperto. Quando si presenta molto aggressiva può essere approfondita con una risonanza magnetica. Il trattamento consiste innanzitutto nell’immobilizzazione della frattura, nel caso delle localizzazioni omerali, e nell’inchiodamento, nel caso delle localizzazioni femorali. Dopo che la frattura è guarita, si esegue una biopsia e si inizia un trattamento di infiltrazioni”, spiega Cosimo Gigante. “Tra le nuove possibilità di trattamento quello più diffuso, perché meno invasivo, molto efficace e poco costoso è l’infiltrazione a base di cortisone che secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica si rivela efficace in un numero elevato di casi (50-60%)”.

In caso poi di mancata guarigione o recidiva della cisti, racconta ancora il direttore dell’UOSD di Ortopedia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova, “si utilizzano degli stimolatori biologici della osteo-produzione, introdotti recentemente, che vengono somministrati con infiltrazioni di midollo osseo autologo, più frequentemente addizionato a matrice ossea demineralizzata di banca. Quest’ultima soluzione, insieme all’inchiodamento di queste cisti, quasi obbligatorio nel caso in cui sia interessata la zona femorale, ha considerevolmente aumentato la percentuale di successo, portandola vicino al 90%. Esistono poi delle cisti refrattarie al trattamento che richiedono il ricorso alla chirurgia aperta o ‘curettage’, cioè la pulizia della cisti e il successivo posizionamento di innesti ossei prevalentemente di banca. In questo caso addizionati di fattori che promuovono la rigenerazione ossea, cioè il concentrato midollare autologo e la matrice ossea demineralizzata”.

Il percorso può essere lungo: “La prognosi è di solito favorevole ma al momento della diagnosi noi non sappiamo se ci troviamo di fronte a una cisti che guarirà o saremo impegnati in una lunga battaglia in cui, dopo aver eseguito tutti i trattamenti possibili, saremo poi costretti a ricorrere alla chirurgia aperta. Il destino della cisti è però sempre segnato, perché alla fine ne abbiamo ragione anche per il fatto che normalmente l’attività osteolitica di queste cisti tende naturalmente a esaurirsi con il raggiungimento della maturità scheletrica”, conclude Cosimo Gigante.