Un case report descrive una somministrazione di dosi eccessive in una lattante

Un’aggiunta di vitamina D da parte della mamma, dietro consiglio di un parente, ha causato un’intossicazione acuta da vitamina D in una lattante, con un ritorno alla normalità che ha richiesto diversi mesi.

Il quadro è stato riportato con un case report, dove viene appunto descritta una lattante con intossicazione da vitamina D (25OHD: 555 nmol/L). La madre, oltre alla profilassi con 400 UI/die prescritta dal curante, aveva somministrato 300.000 UI in dose unica su consiglio di un parente per “favorire” l’eruzione dei denti ancora asintomatica. La risoluzione è poi avvenuta molto lentamente con normalizzazione dei livelli di 25OHD dopo 6 mesi.

La facile accessibilità a preparati a base di vitamina D in prodotti da banco e anche informazioni non corrette diffuse dai media o tramite passaparola sono fattori di rischio per sovradosaggio o intossicazione, che si può manifestare con sintomi dell’ipercalcemia [poliuria e polidipsia, diminuzione dell’appetito, perdita di peso, manifestazioni gastrointestinali (nausea, vomito, costipazione), disidratazione] fino a convulsioni nei casi più gravi. Alcuni di tali sintomi se non riconosciuti potrebbero indurre a un aumento delle dosi nell’erronea convinzione, ad esempio, che la vitamina D possa determinare un miglioramento dell’appetito.

Il caso riportato sottolinea l’importanza di educare i genitori su un uso appropriato della vitamina D – e in generale di tutti i farmaci e gli integratori da banco – sfatando false informazioni e mettendo in evidenza i potenziali effetti collaterali di dosi eccessive.

Al Alwan I et al., Case Rep Endocrinol. 2022; 2022:7072815