La recente alluvione dell’Emilia-Romagna conferma ancora una volta lo stretto legame tra salute ambientale e salute umana. Non rientra ovviamente negli scopi di questa Rivista capire le cause di tale disastro, ma la memoria non può non andare, ad esempio, all’alluvione del Polesine del 1951, magistralmente presente anche nelle pagine di “Mondo Piccolo” di Giovannino Guareschi, e chiedersi quali percorsi di prevenzione non siano stati realizzati in oltre 70 anni, quali problemi non sia stato possibile risolvere, o come altri fattori (abbandono delle aree montane, eccesso di urbanizzazione e di industrializzazione tecnologica, agricola e turistica?) possano avere influito.

Sicuramente, oltre ai danni economici, nel percorso di ricostruzione non si dovrà trascurare di affrontare gli aspetti medici e psicologici presenti e futuri dei minori di quelle aree.
In altre zone del pianeta, cause complesse e tra loro interconnesse (carestie, siccità, povertà, conflitti armati) sono motivo di intensificazione del fenomeno migratorio. I dati demografici mondiali possono fornire un ulteriore contributo a meglio comprenderlo.

Secondo i modelli previsionali delle Nazioni Unite, l’umanità ha raggiunto gli 8 miliardi di individui nel novembre scorso. Un record storico se si pensa che, sempre secondo le stime ONU, la popolazione mondiale era di appena 2,5 miliardi nel 1950 e di 4 miliardi nel 1974.

Ma è necessario considerare anche la distribuzione geografica di questa popolazione mondiale: degli 8 miliardi attuali circa l’85% vive nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo e il 15% in quelli economicamente avvantaggiati, che peraltro sono responsabili di quasi il 50% delle emissioni antropiche climalteranti. Inoltre, la popolazione dei secondi è sostanzialmente stabile, mentre quella dei primi è in costante crescita.

Ne deriva inevitabilmente un flusso migratorio dalle aree povere verso quelle a maggiore benessere, che ovviamente riguarda anche i minori sempre più spesso non accompagnati. Entrano, poi, nella nostra società i bambini adottati all’estero.

L’inchiesta di questo mese sul bambino migrante e adottato (pag. 10 e segg.) prende quindi in esame, come scrive Piercarlo Salari, una questione alquanto complessa in relazione alle sue numerose e variegate declinazioni e sfaccettature.

Un altro evento “ambientale” meno drammatico mediaticamente, ma che rappresenta potenzialmente un grave rischio per la salute, è stato di recente evidenziato in Lombardia. Un’indagine dell’unità investigativa di Greenpeace Italia ha posto l’accento su una possibile contaminazione con PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) dell’acqua potabile.

I PFAS sono composti chimici ampiamente utilizzati in ambito industriale, che sono noti per la capacità di contaminazione ambientale a causa della loro stabilità termica e chimica, per cui risultano resistenti ai processi di degradazione esistenti in natura. Inoltre, data la capacità di accumularsi negli organismi, la concentrazione di PFAS è bio-amplificata, salendo lungo la catena alimentare.

I PFAS sono in grado di causare un’ampia gamma di effetti avversi sulla salute, in particolare, possono avere un ruolo come interferenti endocrini. Per l’importanza di questo argomento e per le incertezze che ancora lo contraddistinguono, si è deciso di iniziare una nuova rubrica su ambiente e salute partendo proprio dagli interferenti endocrini. La rubrica sarà sviluppata del Prof. Sergio Bernasconi, che tra i primi ha sollevato questa tematica ed è oggi uno dei più qualificati esperti sull’argomento.

Una particolare attenzione al tema dei rapporti tra ambiente, salute e qualità di vita dei minori rappresenta, dunque, un rinnovato impegno per questa Rivista, anche in base agli insegnamenti del suo fondatore Prof. Roberto Burgio, che ricordava “Se la natura perde la salute, la perde anche l’uomo”.