Uno studio pubblicato sul Journal of the Endocrine Society riporta l’andamento delle diagnosi nel corso degli ultimi anni

Un aumento nelle diagnosi di pubertà precoce durante il periodo della pandemia da COVID-19 rispetto agli anni precedenti. A segnalarlo uno studio pubblicato sul Journal of the Endocrine Society, il cui responsabile scientifico è Mohamad Maghnie, direttore della UOC Clinica Pediatrica ed Endocrinologia dell’Istituto Gaslini, e prime firmatarie Daniela Fava (nella foto), della Clinica Pediatrica ed Endocrinologia, Carlotta Pepino, specializzanda in Pediatria presso l’Università di Genova.

La ricerca si proponeva di valutare l’incidenza della pubertà precoce centrale idiopatica nelle femmine durante la pandemia di COVID-19 in Italia rispetto ai quattro anni precedenti. “L’analisi si è concentrata in particolare sui cambiamenti nello stile di vita durante i periodi di lockdown, rivelando che negli ultimi anni è stato osservato un lento aumento di casi di pubertà precoce, in particolare nelle bambine; con un’estrema ‘impennata’ proprio negli ultimi due anni tra Covid-19, pandemia e lockdown, questo fenomeno è stato segnalato da molti centri di diversi paesi”, afferma Mohamad Maghnie.

“Durante la pandemia di Covid-19, il numero delle bambine che abbiamo valutato per sospetta pubertà precoce è aumentato di quasi l’80% rispetto ai quattro anni precedenti, e la percentuale di bambine a cui è stata diagnosticata la pubertà precoce rapidamente progressiva è stato del 30% più alto durante il periodo pandemico. Prima della pandemia, solo il 41% delle ragazze indirizzate al nostro Istituto per sospetta pubertà precoce presentava una forma rapidamente progressiva, ma durante la pandemia la percentuale è salita al 53,5%”, spiega Daniela Fava, che aggiunge: “Lo studio è stato condotto su 133 bambine che hanno ricevuto diagnosi di pubertà precoce nel nostro Istituto da gennaio 2016 a giugno 2021.

A differenza di altri studi italiani, abbiamo analizzato i nostri dati prendendo in considerazione un intervallo più lungo, in particolare il periodo tra marzo 2020 e giugno 2021, durante il quale l’Italia ha subito un lockdown totale, poi parziale, e una riduzione delle attività (chiusura delle scuole, interruzione delle attività fisiche quotidiane, attività di routine, soprattutto quelle non competitive) rispetto ai dati di coorte annuali dei 4 anni precedenti”.

Secondo i dati dell’Istituto Gaslini, durante la pandemia vi sarebbe stato un aumento di 1,79 volte del numero di pazienti segnalati per sospetta pubertà precoce come pure dell’incidenza di pubertà precoce idiopatica rapidamente progressiva, RP-ICPP (1,3 volte rispetto al periodo precedente): prima della pandemia sono stati registrati 72 nuovi casi in 50 mesi, quindi 1,44 casi al mese, mentre sono stati 61 nei 16 mesi durante la pandemia, 3,8 casi al mese.

Alcuni fattori di rischio

Viene segnalato il riscontro di un BMI più alto nelle ragazze con diagnosi di pubertà precoce rapidamente progressiva durante la pandemia (ma non statisticamente significativo) e che quasi 9 su 10 pazienti visitate durante i primi 15 mesi della pandemia avevano interrotto l’attività fisica. “L’incremento del BMI non è stato l’unico dato rilevato, abbiamo anche osservato un uso prolungato di dispositivi elettronici, che potrebbe aver influenzato i tempi di sviluppo puberale attraverso fattori diretti e indiretti”, riprende Mohamad Maghnie. “Le bambine con diagnosi di pubertà precoce durante il periodo pandemico hanno mostrato una media di 2 ore giornaliere in più (rispetto al periodo precedente) trascorse utilizzando dispositivi elettronici e 88,5% di queste hanno interrotto l’attività fisica programmata che svolgevano prima della pandemia. Nessuna bambina aveva avuto il Covid-19 prima della diagnosi di RP-ICPP”.

Un altro aspetto che viene riportato che può aver avuto un’influenza è la possibilità che il lockdown abbia favorito il riconoscimento di segnali precoci di avvio puberale, per il tempo maggiore trascorso insieme genitori-figli, da cui un maggior numero di richieste di visite durante la pandemia, con una anticipazione nella diagnosi. Infine, viene ricordato anche il possibile ruolo dello stress psicologico, delle tensioni familiari, della situazione economica e della possibile maggiore esposizione agli interferenti endocrini in quel periodo.

“Il forte picco di nuove diagnosi di pubertà precoce idiopatica rapidamente progressiva (RP-ICPP) in coincidenza con la pandemia di COVID-19 è un fenomeno importante. I bambini sono diventati meno attivi fisicamente e i tassi di sovrappeso e obesità, così come lo stress, sono aumentati durante la pandemia”, dice ancora Mohamad Maghnie, e conclude: “L’attenzione su questo fenomeno ancora in gran parte misterioso, è anche legato alle ricerche che hanno messo in relazione la pubertà precoce con il possibile un aumento del rischio di malattie cardiometaboliche, depressione e altri problemi di salute mentale nella vita adulta. Inoltre, l’età precoce del menarca è un fattore di rischio accertato per il cancro al seno e altre forme di tumore estrogeno dipendenti”.