Nel contesto della sanità pubblica a livello mondiale la resistenza agli antimicrobici è responsabile ogni anno di circa 5 milioni di decessi e rappresenta pertanto una delle sfide più impegnative. Un’attenzione speciale va riservata ai bambini, essendo particolarmente soggetti a episodi febbrili e di conseguenza a prescrizioni di antibiotici.
La resistenza agli antimicrobici è monitorata con particolare attenzione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ogni anno, nel mese di novembre, organizza una settimana di approfondimento e sensibilizzazione e ha recentemente lanciato il sistema GLASS (Global Antimicrobial Resistence and Surveillance System), una piattaforma per il monitoraggio della resistenza agli antimicrobici da parte dei laboratori di tutto il mondo.
In questo video il Dott. Marco Denina, pediatra presso l’Ospedale infantile Regina Margherita di Torino, illustra una possibile strategia per contrastare questa problematica.
Le radici della resistenza agli antimicrobici
L’antimicrobial resistance (AMR) è causata principalmente dall’utilizzo inappropriato o errato degli antibiotici. Studi recenti dimostrano come l’adozione di programmi di antimicrobial stewardship consentano di ridurre di circa il 30% il numero delle prescrizioni antibiotiche. Tali programmi, però, richiedono risorse e personale dedicati non sempre disponibili nell’attuale realtà sanitaria.
D’altra parte, i bambini si ammalano spesso: si stima, per esempio, che nel primo anno di vita la durata complessiva di una sintomatologia febbrile o respiratoria possa raggiungere i 3 mesi e mezzo, e si calcola che nell’arco di un anno i bambini, soprattutto se hanno fratelli o frequentano la comunità, possono andare incontro fino a 11 episodi di infezioni respiratorie.
La frequenza di tali episodi comporta importanti ripercussioni psicologiche sui genitori e il loro frequente ricorso alla telemedicina, tramite visite telefoniche o chat.
Tutti questi fattori concorrono alla crescente prescrizione di antibiotici non necessari in età pediatrica e favoriscono l’incremento dell’AMR.
L’inquadramento diagnostico
Di fronte a un bambino febbrile, al fine di un trattamento appropriato, è innanzitutto doveroso stabilire se sia in atto un’infezione batterica o virale. A tale scopo è necessaria l’integrazione tra esame obiettivo, epidemiologia stagionale, diagnostica microbiologica, che spesso, però, richiede tempistiche superiori e test di laboratorio, generalmente disponibili in poche ore.
Nella ricerca del biomarcatore perfetto, in grado di identificare l’agente patogeno minimizzando falsi positivi e falsi negativi, si deve prestare attenzione alle caratteristiche cinetiche e biochimiche dei vari marker infiammatori, alcuni dei quali, come la procalcitonina, offrono il vantaggio di una rapida cinetica di risposta all’agente infettivo.
Poiché un solo marker di infezione non può possedere tutti i requisiti ottimali, la ricerca è orientata all’identificazione di test di laboratorio capaci di integrare l’analisi simultanea di più biomarcatori, ognuno con caratteristiche cinetiche e biochimiche differenti, al fine di raggiungere sensibilità e specificità estremamente elevate.
Per questa ragione si può facilmente intuire come il laboratorio analisi, attraverso l’integrazione di biomarcatori multipli, stia assumendo un ruolo sempre più centrale nella differenziazione dei pazienti con infezione virale o batterica. Un aspetto, quest’ultimo, fondamentale nell’implementazione della stewardship antimicrobica.