Pubblicato uno studio osservazionale dell’ACP sull’infezione da SARS-CoV-2 nella popolazione pediatrica, incidenza, fattori associati, sintomatologia

Tosse non protagonista dei sintomi da COVID-19, manifestazioni diverse in base all’età, con il raffreddore in testa nei più piccoli sotto i 3 anni e mal di testa come campanello di allarme sopra i 3 anni, non grande influenza delle malattie croniche sulla possibilità di diagnosi positiva, variabilità regionale, contagio spesso preso dai familiari. Questi alcuni dei risultati emersi da uno studio condotto dall’Associazione Culturale Pediatri (ACP) e pubblicato sulla rivista Quaderni ACP.

Pediatri di famiglia e cure primarie

Lo studio, osservazionale e multicentrico, si è proposto di valutare l’incidenza del COVID-19 e la sintomatologia in chi era risultato positivo non ricoverato, nel setting delle cure primarie. L’acquisizione dei dati era su tre gruppi: uno con diagnosi confermata mediante tampone molecolare, uno di casi sospetti ma con tampone negativo e un terzo gruppo con bambini che hanno avuto contatti stretti con casi di COVID-19. Vi hanno partecipato 34 pediatri di famiglia dell’ACP e sono stati valutati quasi 2.000 bambini (1.947) con un’età media di 6,4 anni. Lo studio si è svolto in particolare in alcune regioni italiane, Veneto, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Campania, Friuli, Puglia, Emilia-Romagna e Lazio, con numeri diversi di pediatri nelle diverse regioni.

Sintomi diversi all’esordio

L’incidenza complessiva dei casi di malattia è stata di 3,8 casi/1.000 bambini/mese nella popolazione seguita, maggiore nei più grandicelli (3,1 per i bambini tra 0 e 5 anni di età, 4,3 da 6 a 13 anni), con differenze regionali, che hanno visto l’Emilia Romagna e il Veneto maggiormente interessate. “Queste differenze sono verosimilmente da attribuirsi alla diversa gestione della malattia nelle varie regioni, con conseguente diversa possibilità di confermare la diagnosi nei casi sospetti”, ha spiegato Giacomo Toffol, pediatra ACP e coordinatore dello studio, al quale hanno lavorato tra gli altri anche i pediatri e ricercatori Laura Reali e Roberto Buzzetti.

Rispetto ai sintomi, è stata rilevata una variazione di quelli di esordio in base all’età dei bambini. In particolare nei più piccoli con meno di 3 anni quelli più frequenti erano, nell’ordine, rinite, tosse e febbre, mentre sopra i 3 anni cefalea, rinite e febbre. Nel 38,4% c’è stata febbre maggiore di 38° e la frequenza riportata dei sintomi respiratori è stata la seguente: rinite (37,2%), tosse (23,6%), faringodinia (12,2%), tachipnea e/o dispnea (3%), dolore toracico (1,5%), congiuntivite (2,7%), dolore oculare (2,4%). Come sintomi da coinvolgimento complessivo dell’organismo, un caso su quattro ha presentato cefalea (25,7%) seguita come frequenza da astenia (19%), mialgia (9,8%) e artralgia (5,2%). Sotto il 10% altri sintomi gastrointestinali (diarrea 8,7%, vomito 3%, dolore addominale 6,4%) e di tipo neurologico (ageusia 4,6%, anosmia 2,4%) e dermatologico (rash 2,7%, acrocianosi 1%, eritema pernio-like 0,2%, lesioni ulcerative delle estremità 0,2%, cheilite 0,7%). Solo l’1,5% dei casi considerati (7 bambini) ha richiesto il ricovero in ospedale. Infine, nella maggior parte dei casi i piccoli non erano i primi della famiglia ad ammalarsi.

“Confrontando la frequenza di questi sintomi nei due gruppi di soggetti arruolati, sintomatici con diagnosi confermata e sintomatici con esclusione diagnostica di COVID-19, solo i sintomi neurologici e dermatologici erano significativamente più presenti e in grado di far sospettare la diagnosi clinica di COVID-19 nei soggetti positivi; la tosse risulta invece poco rilevante, o comunque meno di quel che potevamo ipotizzare prima di questo studio”, ha commentato ancora Giacomo Toffol, che aggiunge rispetto alle tempistiche dell’infezione nelle famiglie: “Il dato conferma che non sono i bambini gli ‘untori’ di questa malattia, ma con maggiore probabilità vengono coinvolti dal contatto con genitori o nonni già positivi”.

Malattie croniche e fumo passivo

Lo studio ha considerato anche la presenza di malattie croniche rispetto alla possibilità di diagnosi positiva, che non sembra avere un’influenza: c’era una malattia cronica nel 7,6% dei bambini considerati e nel 9,2% dei positivi. Infine, è stato raccolto il dato di esposizione al fumo passivo in casa, condizione presente nel 18,4% dei casi, con punte del 34,5% in Lazio e 32% in Campania, e valori più bassi, del 14,7% in Veneto e 13,3% in Emilia Romagna. “Quasi il 20% dei bambini è esposto a fumo passivo. Un dato che non possiamo associare a una maggiore esposizione al rischio COVID, ma che è importante rilevare come chiara indicazione dell’insufficienza delle misure prese a contrasto di questo fenomeno: dobbiamo fare di più”, ha concluso Giacomo Toffol.