Pubblicati sul New England Journal of Medicine i dati preliminari su otto bambini trattati presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica

A due anni dal trattamento, primi risultati positivi per la terapia genica per la sindrome di Hurler: tutti gli otto bambini trattati stanno bene e hanno raggiunto tappe importanti nel loro percorso di sviluppo. Pur con la prudenza necessaria per l’ancora breve tempo di osservazione, i risultati al momento fanno sperare.

Lo studio è stato guidato dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon (SR-Tiget) di Milano, con la collaborazione di un team multidisciplinare di specialisti dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, dove è stata somministrata la terapia, del Centro Maria Letizia Verga di Monza, per l’esperienza nello studio e trattamento di questa patologia, dell’Università Bicocca per le analisi statistiche e dell’Ospedale Meyer di Firenze per gli studi biochimici. La presentazione dei risultati preliminari ottenuti ha trovato spazio sulle pagine del New England Journal of Medicine.

La sindrome di Hurler

Nella sindrome di Hurler manca l’enzima che degrada i glicosaminoglicani, con un loro conseguente accumulo, e danno, nelle cellule di diversi organi. La terapia genica prevede un prelievo dal paziente di cellule staminali ematopoietiche che vengono messe a contatto con un vettore virale modificato, in grado di entrare nelle cellule e trasportarvi le informazioni genetiche desiderate, ma non di replicarsi. Il virus di partenza utilizzato dai ricercatori è l’HIV, di cui rimane solo una piccola porzione della sequenza originale. Le cellule staminali modificate vengono poi reinfuse nel sangue del paziente e possono così raggiungere i vari organi e rilasciare l’enzima funzionante, che degrada gli accumuli di sostanze tossiche.

“Gli effetti positivi della terapia genica sul metabolismo di questi bambini si sono visti presto. Le loro cellule hanno iniziato rapidamente a produrre grandi quantità dell’enzima, che ha ripulito organi e tessuti dai metaboliti tossici accumulati”, spiega Maria Ester Bernardo, responsabile dell’Unità funzionale di Trapianto del midollo osseo pediatrico dell’Ospedale San Raffaele e tra gli autori principali dello studio. “Dal punto di vista clinico abbiamo osservato la progressiva acquisizione di nuove competenze motorie e cognitive tipiche della loro età, oltre a un’ottima crescita in altezza e a una riduzione di altri sintomi tipici della sindrome come rigidità articolare e opacità della cornea. La cautela è d’obbligo: sono passati soltanto due anni dalla terapia, dovremo continuare a osservare questi bambini per verificare che gli effetti positivi continuino nel tempo. Quanto osservato finora, però, ci fa davvero ben sperare”.

La terapia genica

Da oltre dieci anni presso l’SR-Tiget viene svolta ricerca su questo approccio di terapia genica e vi era stata una precedente esperienza di successo sulla leucodistrofia metacromatica. Bernhard Gentner, responsabile dell’unità di ricerca traslazionale sulle cellule staminali e leucemie e primo autore dello studio, ha ricoperto un ruolo cruciale negli anni di ricerca, e racconta: “Il nostro ‘processo’ ci ha permesso di aumentare la quantità di enzima funzionante prodotto fino a 50 volte rispetto ai livelli normali. Questo potrebbe potenzialmente rappresentare un ulteriore vantaggio anche rispetto al trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che ad oggi è l’unico trattamento che può in parte migliorare l’andamento della malattia, purché fatto precocemente e in presenza di un donatore compatibile. Al momento, però, non abbiamo ancora abbastanza dati in questo senso, serve più tempo”.

Coordinatore dello studio è stato Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’SR-Tiget e professore ordinario di Pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele: “Il percorso è ancora lungo ma è incoraggiante che i tempi di sviluppo di queste terapie si stiano accorciando grazie all’esperienza accumulata in questi anni”, conclude. “Si potrà così ampliare l’orizzonte delle malattie trattabili con la terapia genica con cellule del sangue corrette come una ‘super fabbrica’ dell’enzima mancante in vari tessuti, replicando così questo approccio ad altre patologie simili che oggi non hanno una cura efficace”.