Pubblicati sulla rivista Blood i risultati di uno studio su un test che studia la presenza di una sottopopolazione di linfociti T nel sangue

Con un esame di laboratorio avere la possibilità di fare diagnosi e di prevedere la gravità della linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) secondaria, valutando la numerosità di una sottopopolazione di linfociti T. Questo il dato emerso da una ricerca condotta dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e pubblicata sulla rivista Blood. La linfoistiocitosi emofagocitica secondaria è una rara e grave sindrome iperinfiammatoria, difficile da riconoscere, e ora, ha commentato Fabrizio De Benedetti, responsabile di Reumatologia dell’Ospedale e corresponding author della ricerca, questa scoperta “ha implicazioni cliniche rilevanti che cambieranno la diagnosi e la gestione dei pazienti con varie forme di HLH”.

Caratterizzata da un’attivazione eccessiva dei macrofagi, con un’eliminazione anche della cellule sane, l’HLH comporta un’iperinfiammazione sistemica e insufficienza multiorgano e se la diagnosi e il trattamento non sono effettuati in tempo può causare la morte del paziente. Vi sono due forme, una primaria o familiare, genetica, e una secondaria, complicanza di varie patologie con fattori scatenanti quali infezioni virali (come Sindrome Infiammatoria Multisistemica o MIS-C causata da Covid-19), neoplasie maligne, immunodeficienze, malattie metaboliche e malattie autoinfiammatorie; inoltre, se associata a malattie reumatiche, la forma secondaria prende il nome di sindrome da attivazione macrofagica (MAS).

Il presente studio è stato realizzato dall’area di ricerca di Immunologia in collaborazione con quella di Oncoematologia, su cellule di sangue periferico di 99 pazienti pediatrici, di cui 46 con HLH secondaria, dimostrando che nel sangue di questi ultimi (con la forma secondaria) si ritrova una sottopopolazione di linfociti T che permette di arrivare alla diagnosi e di prevedere l’andamento. In particolare, sono maggiormente presenti rispetto a casi di malattie autoinfiammatorie (come l’artrite idiopatica giovanile sistemica) i linfociti T attivati che hanno i marcatori di membrana CD38, HLA-DR e CD8. È stata segnalata anche una nuova sottopopolazione cellulare di linfociti T (CD4dimCD8+) collegata alla gravità: più è numerosa più è grave l’esito prognostico.

Dal laboratorio alla clinica

Spiega Giusi Prencipe, biotecnologo medico del Bambino Gesù e coordinatrice dello studio: “Uno degli aspetti più importanti dei risultati ottenuti con questo studio è l’immediata traslazionalità. Vale a dire che è possibile, come stiamo già facendo presso il nostro Ospedale, trasferire subito i risultati nella pratica clinica a tutto vantaggio dei bambini e delle loro famiglie”. Dunque subito possibilità di diagnosi, non sempre facile all’esordio, e presa in carico precoce dei casi con HLA secondaria, con trattamenti precoci e appropriati e conseguenti effetti sulla prognosi.