Radiografie nei nati prematuri

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neonato prematuroSedici fra i Centri maggiori con il reparto di Terapia intensiva neonatale (TIN) e 500 esami Rx per un confronto tra metodiche, apparecchiature e dosi, in uno studio durato tre anni. Si tratta della prima indagine nazionale sull’esposizione alle radiazioni ionizzanti nei bambini nati prematuri, condotta dall’Associazione italiana di fisica medica con cui hanno collaborato la Federazione delle società medico-scientifiche italiane e la Società italiana di neonatologia. «È importante avere ben chiaro quanto la radioprotezione del paziente debba essere il risultato del concorso di tutti gli attori coinvolti, nel rispetto di ruoli e competenze. Per questo abbiamo chiesto la collaborazione della FISM e della SIN per elaborare delle linee guida in grado di fornire indicazioni utili alle principali figure professionali che collaborano in Terapia intensiva neonatale: medico neonatologo, medico radiologo, tecnico di radiologia medica e fisico medico» ha spiegato Antonella del Vecchio, coordinatrice dello studio, fisico medico, Ospedale San Raffaele di Milano. I risultati dell’indagine, presentati al 9° Congresso Nazionale AIFM, hanno mostrato che su sette culle esaminate, soltanto due attenuano di meno del 10% il fascio di radiazione, mentre le altre circa del 30%; inoltre nei modelli in cui è presente la bilancia è stata segnalata un’attenuazione in più del 40%. Infine, filtrando preventivamente il fascio, eliminando quindi le componenti della radiazione più responsabili della dose, c’è una riduzione dell’attenuazione tra il 20 e il 30% in tutti i modelli. L’attenuazione è dovuta alla presenza di materiale interposto fra il rivelatore e il paziente e una maggiore attenuazione porta a una maggior dose al paziente se si vuole un’immagine di qualità uguale. «L’obiettivo ultimo non è la riduzione della dose a ogni costo, quanto piuttosto la produzione di immagini diagnostiche in grado di soddisfare la richiesta clinica, utilizzando la minima dose al paziente» ha aggiunto Del Vecchio. Lo studio ha anche messo a confronto sia le pratiche di esecuzione, trovando diverse criticità e una mancanza di uniformità di protocolli per ciascun distretto e proiezione, sia le tecniche utilizzate nei vari Centri, riscontrandone di diverso tipo derivate dall’abitudine più che dall’ottimizzazione.