I risultati di un’indagine sui giovani con la Malattia di Crohn mostrano le fatiche collegate all’alimentazione e gli ostacoli nei rapporti con gli amici

Sei giovani su 10 riferiscono che il cibo rappresenta una fonte di stress in famiglia, ed è causa di situazioni spiacevoli con amici per 1 su 2, mentre complica la scuola per 8 su 10.

I numeri sono il risultato di un’indagine realizzata dal centro EngageMinds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, della campagna sociale “Crohnviviamo Storie di giovani che la malattia di Crohn non può fermare” (promossa da Nestlé Health Science con il supporto di Modulen) in collaborazione con l’associazione A.M.I.C.I Onlus. Si tratta di uno studio cross-sezionale, osservativo, che ha previsto tre survey online (CAWI) su pazienti, genitori e gastroenterologi, con un totale di 1.104 risposte utilizzabili, mostrando l’impatto dell’alimentazione sulla qualità di vita (67%) e sulla quotidianità (59%) dei pazienti.

In particolare, in età pediatrica e durante l’adolescenza, i soggetti parlano di una vita sociale limitata (71%) e si sentono emarginati dai coetanei (41%). “Le scelte alimentari, soprattutto nella cultura italiana, sono parte integrante della qualità di vita e della socialità delle persone e quindi fortemente intrecciate con la psicologia”, spiega Guendalina Graffigna, direttrice del centro EngageMinds HUB. “Anche gran parte dell’identità delle persone si esprime attraverso il cibo che selezionano e che preparano: per chi ha la Malattia di Crohn essere obbligati a rinunce o limitazioni nella propria dieta è fonte di grande frustrazione emotiva e rischia di compromettere il senso di inclusione sociale e di auto efficacia delle persone”.

In caso di malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI) gli alimenti considerati più problematici sono quelli piccanti (76%), seguiti dagli alcolici (65%), dai fritti e dal fast food (entrambi 64%). Alle restrizioni e mancanza di piacere collegato al cibo vietato si collega il disagio nell’ambito relazionale, conseguente alla preoccupazione di poter avere disturbi intestinali improvvisi con necessità di un bagno, per esempio se questi alimenti vengono consumati quando si è in compagnia di amici, una preoccupazione riferita da una persona su due con MICI. Ecco quindi che il disagio nutrizionale si collega a quello relazionale, con vergogna e senso di emarginazione che viene riportato dal 41% degli intervistati (e confermato dal 36% dei genitori).

Alimenti e psicologia

“Solitamente si parla tanto delle proprietà nutrizionali dei vari cibi e del loro effetto a livello fisico, ma spesso si trascura che ciò che mangiamo contribuisce a nutrire anche la sfera psichica. Mente e cibo sono strettamente interconnessi e si influenzano a vicenda”, afferma Salvatore Leone, direttore generale A.M.I.C.I Onlus. “Il tipo di alimentazione, infatti, determina non solo la nostra salute fisica, ma anche quella mentale, il nostro stato d’animo, la qualità dei nostri pensieri, e persino i nostri comportamenti”.
A conferma del ruolo giocato dalla nutrizione, circa 7 pazienti su 10 e il 77% dei genitori con figli con MICI hanno dichiarato di prestare attenzione all’alimentazione e di seguire regimi alimentari concordati con gli specialisti, e 6 persone su 10 (e 4 genitori su 10) dichiarano che l’attenzione al tema nutrizione è aumentata rispetto all’esordio della malattia.

“Nel considerare gli aspetti terapeutici per il paziente con Malattia di Crohn non si può non considerare la nutrizione, fondamentale per tenere sotto controllo la patologia infiammatoria ed evitare riacutizzazioni della stessa”, sottolinea Antonella Diamanti, responsabile UOS Riabilitazione Nutrizionale Ospedale pediatrico Bambin Gesù. “Vista l’importanza della nutrizione, è necessario che si instauri una comunicazione continuativa ed efficace tra gastroenterologo, nutrizionista e paziente e garantire alle persone con MICI l’accesso a informazioni puntuali e corrette, soprattutto per i pazienti in giovane età”. Tuttavia, nonostante il gastroenterologo resti la fonte principale di informazioni, solo il 28% dei pazienti lo contatta spesso, ed emerge quale fonte la ricerca in internet (65% dei malati e 76% dei genitori), effettuata spesso da 1 partecipante su 4 e di tanto in tanto da quasi 4 su 10 (38%). E secondo l’indagine, nonostante il consulto con gli specialisti, le diete seguite sono il risultato dell’esperienza del paziente e di un lungo processo di prove ed errori.