Aumentata del 20% l’indicazione all’intervento nelle fratture dell’avambraccio in pediatria

Progresso tecnologico, riduzione del periodo di malattia e inattività, ritorno più rapido alle attività quotidiane: rispetto al passato il trattamento chirurgico conquista spazio nella gestione di alcune fratture in ambito pediatrico.

“L’indicazione alla chirurgia nel trattamento delle fratture dell’avambraccio nei bambini (in assoluto le più frequenti dell’arto superiore) è aumentata negli ultimi anni del 20%. Intervenire chirurgicamente assicura, infatti, migliori risultati rispetto al trattamento conservativo in gesso, che mantiene comunque un ruolo da protagonista, e soprattutto garantisce un periodo di malattia più breve e con ripresa precoce della funzione”, racconta Pasquale Guida, direttore del reparto di Ortopedia dell’Ospedale Santobono di Napoli e presidente del Congresso della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica – SITOP (30 settembre-1 ottobre). “Oggi il trattamento chirurgico è privilegiato rispetto al passato per una serie di ragioni, tra cui il progresso tecnologico, che mette a disposizione del chirurgo soluzioni sofisticate e mininvasive. La tenuta dei frammenti è quindi affidata a mezzi metallici di titanio o acciaio. L’intervento e la sintesi, inoltre, rendono più breve il tempo di inattività a casa con recupero precoce del gioco, della vita in famiglia, della scuola, dello sport. Si riduce significativamente il numero degli accessi in ospedale e delle giornate di degenza”.

Le possibilità offerte dalla chirurgia non si fermano all’arto superiore: considerando le fratture di gamba, “l’osteosintesi consente, con due minime incisioni chirurgiche e due chiodini in titanio di pochi millimetri di calibro, la dimissione senza gesso o con un tutore il giorno dopo l’intervento, con controlli ambulatoriali a 45 e a 60 giorni”, dice ancora Pasquale Guida. Tempi di guarigione e recupero molto diversi rispetto a quanto necessario con il gesso. “In passato, quando la stabilità della frattura era dovuta solo al gesso, il bambino usciva con un gesso esteso dalle dita del piede all’inguine che doveva tenere per un mese. In seguito veniva sottoposto a un secondo gesso a ginocchio esteso per un altro mese. Infine, veniva confezionato un terzo gesso a gambaletto”.

Tempistiche, dunque, che semplificano la gestione: “Ai nostri giorni, con i genitori entrambi impegnati al lavoro questo cronoprogramma è improponibile. Gli interventi di chirurgia ortopedica sono, rispetto al passato, sempre più precisi e sempre meno invasivi, grazie all’impiego delle nuove tecnologie sia per la diagnosi che per la cura”, conclude Pasquale Guida.