Uno studio multicentrico internazionale ha indicato che la malattia residua minima è utile per discriminare tra due diversi sottotipi di malattia e individuare l’approccio terapeutico più appropriato

Il monitoraggio delle cellule leucemiche che possono sopravvivere nell’organismo dopo il trattamento antitumorale (malattia residua minimaMinimal Residual Disease, MRD) rappresenta un marcatore importante per capire se un paziente con leucemia linfoblastica acuta (Acute Lymphoblastic Leukaemia, ALL) con gene di fusione BCR::ABL1 (derivato dalla traslocazione t(9;22) o ‘cromosoma Philadelphia’, Ph) manifesta la forma Ph+ ALL ‘tipica’ o Ph+ ALL ‘CML-like’, più simile alla leucemia mieloide cronica (Chronic Myeloid Leukemia, CML). La segnalazione viene da uno studio multicentrico internazionale realizzato da ricercatori della Fondazione Tettamanti, in collaborazione con colleghi della Germania e della Repubblica Ceca, pubblicato sulle pagine della rivista Leukemia, del gruppo Springer Nature.

Le due forme di ALL hanno entrambe il gene di fusione BCR::ABL1 nel DNA delle cellule tumorali e tassi di sopravvivenza globalmente paragonabili, ma prevedono terapie differenti e rispondono diversamente ai trattamenti, con tassi di ricaduta variabili nei due casi. La possibilità di distinguere le due forme fin dalle prime fasi del trattamento permette di orientare meglio la terapia successiva e ottimizzare gli esiti clinici, ma finora non era possibile distinguerle con i criteri diagnostici convenzionali.

“Nei bambini affetti da Ph+ ALL ‘tipica’, la malattia residua minima valutata dopo il primo ciclo di trattamento ha anche un valore prognostico, perché ci permette di prevedere quali pazienti avranno maggiori probabilità di andare incontro a una recidiva di malattia e pertanto necessitano di terapie più ‘aggressive’ ”, spiega Giovanni Cazzaniga, responsabile dell’unità di ricerca di Genetica della leucemia della Fondazione Tettamanti e professore associato di genetica medica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. “Al contrario, i bambini con la forma ‘CML-like’ sono maggiormente danneggiati dalla tossicità di trattamenti intensivi e potrebbero beneficiare di terapie mirate. Questa informazione è pertanto cruciale per indirizzare opportunamente le scelte cliniche, nell’ottica di minimizzare il rischio di ricadute e di limitare la tossicità, ove non giustificata”.

La ricerca è stata condotta in modo retrospettivo e ha considerato i campioni di midollo osseo prelevati da 147 bambini (29 in Repubblica Ceca, 88 in Germania e 30 in Italia) tra gennaio 2000 e aprile 2021, valutando la MRD in un totale di 364 campioni prelevati in diversi momenti del trattamento iniziale. I valori di MRD ottenuti hanno permesso di distinguere i casi di ALL BCR::ABL1+ ‘tipica’ e ‘CML-like’.

“Riuscire a capire di quale tipo di ALL soffre il bambino fin dalle prime settimane di terapia, in funzione della riduzione della malattia residua minima permette di calibrare il trattamento da somministrare nel periodo successivo in funzione del rischio di ricadute e di limitare la tossicità, ove non giustificata”, conclude Giovanni Cazzaniga.

 

Allo studio hanno partecipato Michela Bardini, ricercatrice post-doc della Fondazione Tettamanti e Giovanni Cazzaniga in qualità di co-responsabile della ricerca, ed è stato realizzato grazie al supporto dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e del Comitato Maria Letizia Verga, oltre a grants della Charles University e del Consiglio per la Ricerca Sanitaria Ceca, a fondi del Ministero della Salute della Repubblica Ceca, della Fondazione Deutsche Krebshilfe e dell’Unione Europea nel contesto di Next Generation EU.