“Il Long-Covid non è una malattia, ma una sindrome”. Ad affermarlo è il Prof. Giovanni Guaraldi (nella foto) dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, responsabile dell’ambulatorio Post Acute COVID Sindrome (PACS) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena.

Che cosa determina questa condizione?

“I danni tissutali, quindi la polmonite e la sindrome da distress respiratorio acuto, caratteristici dell’infezione severa da Covid, erano certo scatenati dalla presenza del virus SARS-CoV-2, ma riconoscevano una patogenesi immunologica: si trattava di una esagerata risposta infiammatoria che abbiamo chiamato “tempesta citochinica” che portava a danno tissutale per apoptosi (cioè a morte cellulare programmata) delle cellule coinvolte. Non sempre però il danno immunologico portava ad apoptosi. In soggetti predisposti alcune cellule sono andate incontro a una trasformazione fenotipica tipica delle cellule senescenti”.

Questa condizione determina, dal punto di vista immunologico, una accentuazione del fenomeno di invecchiamento.

“Un fenomeno di aging accusato da molto adulti e che si manifesta nei bambini in modo ancor più impressionante. Nella popolazione pediatrica, la fatigue (condizione di affaticamento cronico e di astenia) e il disturbo del sonno sono sintomi molto prevalenti. In più, il bambino ha, forse, qualcosa di più caratteristico dell’adulto che è rappresentato dalla sua vulnerabilità dal punto di vista psicologico. È interessante la metanalisi pubblicata da Sandra Lopez Leon (https://doi.org/10.1186/s13052-022-01282-x) nella quale si afferma che il 16% dei bambini ha disturbi dell’umore”.

Diventa molto difficile, a questo punto, distinguere il danno da malattia da quello dello stress causato dal COVID, in primis l’isolamento sociale.

“I bambini non sono andati a scuola, non hanno socializzato, sono rimasti attaccati a uno schermo tutta la giornata, condizioni tutte che hanno generato un impatto psicologico molto severo. In alcuni casi in disturbo neuropsicologico arriva a configurarsi in un quadro sindromico di ‘Neuro Long COVID’ che nella popolazione pediatrica ha delle caratteristiche diverse rispetto all’adulto. Come afferma lo studio citato, in caso di Long-COVID gli aspetti di salute mentale, in particolare il disturbo dell’umore, appaiono, forse, più rilevanti che  nell’adulto; ed è difficile andare a dire se sia effettivamente una condizione neurologica o una condizione psicologica”.

Oggi la malattia è cambiata e in questo momento storico, dove la maggior parte delle persone è vaccinata, bisogna concentrarsi per evitare il Long-COVID. 

Occorre riconoscere che il quadro clinico della malattia è diverso. La prevenzione rimane ancora l’arma più importante, basata principalmente sulle strategie vaccinali. Rispetto al trattamento del Long-COVID, non abbiamo al momento farmaci di provata efficacia per controllare lo stato infiammatorio persistente e a bassa soglia. Possiamo però agire sullo stato infiammatorio, correggendo le alterazioni metaboliche che sostengono l’infiammazione. Tanti bambini sono diventati obesi nel periodo del lockdown. Non si è trattato solo di accumulo di grasso, bensì di un accumulo di grasso ectopico, essenzialmente viscerale, che produce citochine infiammatorie. Inoltre, lo stato flogistico cronico dipende dalla composizione del microbiota intestinale, che sappiamo alterato già dai primi giorni dell’infezione acuta da SARS-CoV-2. Quindi l’uso dei probiotici, una dieta corretta e una regolare attività fisica hanno un impatto significativo sullo stato infiammatorio persistente. Dobbiamo però mettere il paziente, anche il piccolo paziente al centro. L’awareness, la consapevolezza, la partecipazione attiva sono la base di ogni trattamento. Questo è uguale nel bambino e nell’adulto”.