di Elena D’Alessandri

 

Dal 20% al 40% dei bambini con febbre che accedono in Pronto Soccorso (PS) ricevono una terapia antibiotica, anche laddove non necessario. Allo scopo di ridurre la prescrizione di antibiotici in PS è stato presentato un case study nel corso della seconda giornata del Congresso della Società Italiana di Emergenza urgenza Pediatrica – SIMEUP (Roma, 23-25 novembre u.s.)

Centinaia di studi presenti in letteratura concordano sul fatto che il 20-40% dei bambini con sintomi febbrili che accedono in Pronto Soccorso ricevono una terapia antibiotica. E questo vale per qualsiasi tipo di bambino, compresi quelli con infezione delle alte vie respiratorie. Per quanto emergano variabilità tra i diversi ospedali, uno studio prospettico finanziato dal programma europeo Horizon2020 ha evidenziato che anche nelle patologie più semplici, dal 20 al 50% dei bambini riceve una terapia antibiotica in Pronto Soccorso.

Ridurre la prescrizione antibiotica – anche a fronte del fatto che l’Italia è un Paese maglia nera per l’antibiotico resistenza – risulta pertanto una priorità.

Come ridurre la prescrizione antibiotica

Uno dei meccanismi cui è stato fatto ricorso per ridurre la prescrizione antibiotica è stata l’introduzione del tampone per virus respiratori. Tuttavia, una metanalisi di 8 trial clinici randomizzati e controllati, che ha coinvolto sia i PS degli adulti sia quelli pediatrici, ha evidenziato che a fronte di un medico che dispone di tampone rapido con risposta in 70 minuti e di un medico che non ha questo strumento, il tasso di prescrizione di antibiotici si assesta in entrambi i casi al 20-25%. L’evidenza mostra, pertanto, l’inefficacia del tampone per virus respiratori rispetto alla prescrizione degli antibiotici in Pronto Soccorso.

E altrettanto dicasi per i marcatori tradizionali, come PCR, emocromo e VES. Le sensibilità sono spesso alterne e variano in base agli studi.

 

I vantaggi dell’innovativo test multi-parametrico

L’eccessivo ricorso agli antibiotici è frutto di un’errata diagnosi dell’eziologia della malattia dovuta al fatto che le infezioni batteriche e virali sono spesso clinicamente indistinguibili. MeMed è un test innovativo basato sulla firma proteica immunitaria che misura e integra, computazionalmente, i livelli di tre proteine dell’ospite (TRAIL, IP-10 e CRP) per fornire risultati rapidi e di facile interpretazione che indicano la probabilità di un’infezione batterica o virale. Si tratta di un test diagnostico semplice che studia la risposta immunitaria alle infezioni, attraverso la misurazione delle concentrazioni nel sangue delle tre proteine, che aumentano o diminuiscono in risposta a batteri o virus.

Il test, sviluppato grazie ai finanziamenti della Comunità Europea nel programma Horizon2020, è stato convalidato da studi in doppio cieco condotti su una corte di oltre 20mila pazienti, ed è stato testato su bambini a partire dai 90 giorni di età.  Sommando i cut-off dei tre diversi marcatori, il test offre uno spettro di possibilità diagnostica che va dalla probabilità di infezione virale – con un valore minore di 10 – a infezione batterica – se superiore a 90 -. Questo sistema ha mostrato una scientificità e specificità migliore rispetto ad altri marcatori e una migliore accuratezza per discriminare tra infezioni virali e batteriche.

Nella pratica clinica molto spesso ci si scontra, tuttavia, con un’area di indeterminazione in cui viene somministrato l’antibiotico anche in assenza di certezze.

 

Il progetto europeo Perform

A livello europeo è stato avviato un progetto finanziato da Horizon2020, che sta seguendo oltre 5mila pazienti affetti da febbre visitati in Pronto Soccorso, cercando di identificare in ogni bambino malato – e relativo controllo sano – le cause della febbre attraverso un test – PERFORM – di microbiologia molecolare che permette l’identificazione di patogeni ma anche di virus e batteri nel sangue.

Il progetto mostra che in un numero molto alto di pazienti la differenziazione tra infezione virale e batterica risulta impossibile. Nello studio è stato possibile confrontare i casi infettivi certi con i controlli sani. E’ emerso che anche con la diagnostica molecolare e la ricerca dei batteri nel sangue, molti bambini sani presentano tracce di molecole batteriche.

Ne consegue che la presenza di quei patogeni non è discernente in maniera esaustiva. E anche laddove i pazienti erano stati suddivisi sulla base di un’infezione virale certa, secondo i medici, ovvero un’infezione batterica certa, alcuni virus respiratori associati a un’infezione batterica, così come la presenza di alcuni batteri nel sangue, erano presenti in tutte le classi di pazienti.

Osservazioni conclusive

Ne consegue che per capire come gestire questi pazienti serve un cambio di paradigma che vada oltre la classificazione basata sul patogeno. Lo studio condotto su oltre 20mila pazienti ha mostrato grazie a un biomarcatore parametrico – MeMed – che, nella generalità dei casi, ci si trova di fronte a uno spettro clinico e immunobiologico piuttosto che a una dicotomia infezione batterica-virale. In tal senso, i biomarcatori multi-parametrici potranno essere di aiuto nell’identificare almeno i casi virali certi e i casi batterici certi.