Congresso SIGENP: in Italia centri di eccellenza, ma uno studio riporta successi terapeutici inferiori a quelli di altri Paesi

Una malattia in cui la tempestività nella diagnosi e trattamento è fondamentale, con probabilità di successo sempre più scarse se il paziente ha più di due mesi, e per la quale è importante sensibilizzare. Si tratta dell’atresia biliare, tema che ha trovato spazio al 31° congresso della Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione (SIGENP). “È una malattia in cui la precocità dell’intervento fa la differenza, ma c’è ancora scarsa informazione. In un neonato feci grigie e urine scure devono insospettire e indurre a consultare subito un centro specialistico”, ha sottolineato Claudio Romano, Ordinario di Pediatria all’Università di Messina e Presidente SIGENP.

La SIGENP riporta come l’atresia biliare, seppur rara, sia mortale se non vengono effettuate cure specialistiche. In un buon numero di casi è possibile intervenire in modo soddisfacente con la procedura Kasai, tecnica chirurgica praticata sui neonati che prevede un collegamento tra fegato e intestino tenue per supplire alle vie naturali per far defluire la bile. Questo però se eseguita per tempo, entro i 60 giorni di vita, quindi arrivare alla diagnosi poco dopo la nascita; successivamente, ma comunque entro i due anni, c’è solo il trapianto di fegato. E non è la soluzione finale, continua la SIGENP: al momento si può parlare di ‘guarigione’ definitiva in poco più della metà dei casi, anche nelle condizioni migliori.

Dal 2011 in Italia c’è un registro nazionale e dal 2018, con l’attività del Network italiano SIGENP per lo studio dell’atresia delle vie biliari, c’è la possibilità di coordinare i 13 centri di alta specializzazione e raccogliere dati sui pazienti affetti. Uno studio retrospettivo del Network italiano SIGENP (Brescia, Roma, Palermo, Salerno, Bergamo) ha considerato 254 casi italiani diagnosticati e trattati nel periodo dal 2011 al 2021 e rilevato che la sopravvivenza a cinque anni con fegato nativo dei casi curati con la procedura di Kasai in Italia è stata del 35,4%, in Francia del 41,2%, in Inghilterra del 51,3%, nei Paesi bassi del 46%, nei Paesi Scandinavi del 55% e in Svizzera del 37,4. Ma tra i casi italiani la percentuale era del 48,9% quando l’intervento era eseguito prima dei 40 giorni di età. Viene quindi riportato che i risultati italiani sono peggiori rispetto a quelli degli altri Paesi europei considerati perché le diagnosi sono tardive e gli interventi realizzati in età troppo avanzata.

La SIGENP sottolinea dunque come la sfida per i pediatri epatologi sia diagnosticare l’atresia biliare il più presto possibile. “Il sospetto precoce e quindi l’abbassamento dell’età alla diagnosi sono la chiave per migliorare gli esiti dei neonati con atresia biliare in Italia. È un obiettivo possibile, se c’è conoscenza della malattia: i genitori che osservano la persistenza dell’ittero oltre le due settimane di vita, l’emissione di feci ipo-acoliche cioè grigie o biancastre e di urine scure devono rivolgersi subito al proprio pediatra e ad un centro specializzato”, ha affermato Angelo Di Giorgio, dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo.

“L’indicazione che ci fornisce questo studio retrospettivo è chiara. I nostri centri specialistici sono assolutamente all’avanguardia, malgrado questa sia una malattia difficile, non ancora sempre dominabile” ha detto ancora Claudio Romano, e concluso: “Ma occorre che i medici sul territorio e i genitori siano meglio informati per accorgersi tempestivamente dei segni della malattia e rivolgersi agli specialisti”.