Un retaggio culturale e scarsa (in)formazione, sono questi i due elementi che portano a sottotrattare il dolore in età pediatrica e in generale, nonostante sia un sintomo destruente, con forte implicazioni: mina, più di altri fattori, la relazione medico-paziente, angoscia i genitori, fa paura, impoverisce drammaticamente la vita del bambino e della famiglia.

Di contro il dolore ha tutte le stigmate per essere un sintomo, tale da destare l’attenzione del team sanitario, medico e infermieristico: una adeguata formazione, specialistica, consente di analizzare le cause, valutare l’impatto e trattare il dolore con le terapie adeguate. Oggi molteplici e di diversa natura. Se ne è parlato al 27° Convegno Pediatrico de I Pinguini (Firenze, 11-12 Novembre 2022) nel corso della lezione Il trattamento del dolore moderato-severo, tenuta dalla dottoressa Franca Benini, Responsabile del Centro regionale Veneto di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche, Hospice Pediatrico di Padova, Dipartimento per la Salute della madre e del bambino.

Le nuove acquisizioni

Studi recenti hanno consentito di comprendere che la nocicezione è un fenomeno precocissimo che inizia a svilupparsi nel bambino dalla 10a settimana di gravidanza, «pertanto anche il prematuro – spiega la dottoressa – sente il dolore e in maniera sensibilmente più grave rispetto a bambini di età successive.

Sappiamo, inoltre, che il dolore è un sintomo dannoso che determina un meccanismo di tipo darwiniano nel sistema nervoso centrale e periferico, ovvero il dolore non trattato è in grado di modulare plasticamente il sistema centrale, determinando soglie algiche differenti da persona a persona, in rapporto al dolore patito nelle prime età. Ne deriva che il ruolo del pediatra in questo contesto è cruciale: deve riconoscere il sintomo, conoscere i farmaci per trattare il dolore e gestirlo in maniera corretta, finalizzata a evitare danni allo stato attuale, con peggioramento della prognosi e guarigione più lenta, e a lungo temine». Compito del pediatra è mettere in campo tutte le strategie disponibili e possibili, singole o in associazione, selezionate in funzione dell’età e della cultura, per un efficace controllo del dolore affinché non lasci traccia nella memoria del bambino.

Le strategie terapeutiche

Il dolore acuto, nel 98% dei casi, può essere ben controllato, a differenza del dolore cronico più difficile da trattare. Eppure l’evidenza attesta che il dolore è ancora ipotrattato, gestito in maniere inappropriata e/o inadeguata, a partire dalla diagnosi. «Il dolore – prosegue Benini – non viene misurato, né valutato. Ci si limita a chiedere al bambino se ha male, senza cercare di capire la fonte del dolore.

I famaci hanno un utilizzo “personalistico”, senza un protocollo che dia chiare linee guida. Dall’altro non è corretto neppure ipertrattare il dolore, laddove non serve, tenuto conto che oggi ci si può avvalere di ampie strategie farmacologiche e non farmacologiche, come terapie comportamentali, tecniche cognitive, agopuntura, laser terapia, fino all’ipnosi nei casi più difficili».

Fondamentale è la comunicazione: qualunque sia il trattamento prescelto, i bambini devono essere correttamente informati; se si prevede che possa percepire un sintomo doloroso nel corso della pratica in atto, va spiegato loro con parole semplici, tranquillizzandolo, stabilendo delle regole, ad esempio una stretta di mano se il dolore diventa insopportabile, così da sospendere il trattamento. Occorre fare un patto di alleanza con il bambino».

La formazione

È necessario avviare medici e infermieri a percorsi specialistici, tali da conoscere le varie tecniche per il controllo del dolore funzionali all’età del bambino, all’intensità del dolore e al contesto clinico-ambientale, e le opportunità di switch terapeutico in caso di fallimento del trattamento in corso. «Possono essere sufficienti anche terapie base, da banco – chiarisce la dottoressa – come ibuprofene e paracetamolo, ma che vanno usati bene: è evidenza che l’83% di prescrizioni di paracetamolo ad esempio sono inappropriate per dosaggi troppo bassi o inadeguati».

I genitori vanno educati a non sopravvalutare, facendo attenzione a potenziali campanelli di allarme: cambiamenti nelle abitudini nutrizionali e del sonno, frequenti risvegli notturni. Questi ultimi soprattutto possono rappresentare un importante trigger del dolore. «I genitori – conclude Benini – sono gli occhi del sanitario cui spetta poi la valutazione del dolore attraverso l’utilizzo di adeguate scale, e la descrizione che farà il bambino del dolore: “Mi brucia, sono come aghi”, queste semplici frasi sono sufficienti a indirizzare il clinico verso una diagnostica. Le scale del dolore da sole hanno poco significato, va inserite all’interno dell’intero setting con on particolare attenzione alla ricorrenza dei sintomi, specie a quelli più rilevanti, come gli episodi notturni».

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