I primi dati dello studio NASCITA mostrano ancora una percentuale non adeguata di neonati allattati esclusivamente al seno e un’attenzione scarsa sulla nutrizione nei primi mesi di vita
Ancora lontana la situazione ottimale per quanto riguarda l’allattamento al seno esclusivo: i numeri non sono soddisfacenti e vi sono importanti differenze tra il Sud Italia e il Centro e Nord, dove va meglio. Non solo: la nutrizione, in particolare nei primi mesi di vita, è trascurata e poco più di una famiglia su tre segue l’autosvezzamento (alimentazione complementare a richiesta).
Il quadro viene illustrato dai primi dati dello Studio NASCITA” – NAscere e creSCere in ITAlia, coordinato dal Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri (ACP), approvato dal Comitato Etico Sezione Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano e monitorato da un comitato tecnico scientifico indipendente.
L’indagine comprende oltre 5.000 neonati, ad oggi fino ai 3 mesi d’età, 2mila fino ai 2 anni. Un’analisi preliminare su 809 bimbi (415 maschi, 51,3%, e 394 femmine, 48,7%) nati a termine, con peso adeguato all’età gestazionale e che avevano effettuato le prime tre visite di follow up (bilanci di salute) ha fornito i dati sulla prevalenza dell’allattamento al seno e la tempistica e modalità dello svezzamento, tradizionale o autosvezzamento. Il 44% dei bambini risiedeva nel Nord Italia, il 23% nel Centro e il 33% nel Sud.
Il 71% dei neonati aveva un allattamento al seno esclusivo alla dimissione dopo il parto, il 65% al momento della prima visita (primo mese di vita), il 59% nella seconda (compimento del secondo mese) e solo uno su tre era ancora allattato esclusivamente al seno almeno fino al sesto mese. Quest’ultima condizione, fino ai sei mesi, prevaleva nel Centro Italia (34,4%) e nel Nord (31,3%), mentre la percentuale si riduceva nel Sud (23,9%). In sintesi, le variabili associate a una probabilità minore di un allattamento al seno prolungato erano un livello basso di istruzione materna, la mancata occupazione lavorativa extradomestica della madre, l’essere residente in una regione del Sud Italia e l’essere primipara.
“Dobbiamo purtroppo notare che l’allattamento in forma esclusiva è insufficiente già alla dismissione dall’ospedale e così si conferma nelle prime due visite. A molti bambini i benefici per la salute e lo sviluppo dell’allattamento al seno non sono garantiti, ancor più in alcuni contesti geografici, in cui questa disuguaglianza si somma ad altre”, ha commentato Antonio Clavenna, medico e specialista in Farmacologia Clinica, ricercatore presso il Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’Istituto di Ricerche Mario Negri.
Considerando invece i dati relativi allo svezzamento, in media viene effettuato a 5,3 mesi di vita del bambino, per il 64% dei casi in modo tradizionale e per il restante 36% con alimentazione complementare a richiesta: in quest’ultima situazione di autosvezzamento, nel 72% dei casi i piccoli mangiano gli stessi alimenti dei genitori, mentre gli altri (28%) consumano un pasto preparato per loro. Infine, l’autosvezzamento è più diffuso nel Centro Italia, tra le mamme con un’istruzione superiore o universitaria e in caso di allattamento esclusivo al seno almeno fino al sesto mese.
“Vista l’importanza dell’educazione e dell’occupazione materna, nel delineare il futuro e la salute del neonato, questi dati preliminari indicano che l’esito degli interventi educazionali per tutte le madri sinora e da tempo attuati (per esempio durante i corsi pre-parto o da parte di ginecologi e pediatri nel corso delle visite routinarie) è da migliorare”, dice ancora Antonio Clavenna, e conclude: “Bisognerebbe anche offrire maggior supporto alle donne che hanno livelli di scolarità inferiori, disoccupate o che diventano madri per la prima volta, anche con l’implementazione delle visite domiciliari di operatori socio-sanitari, ove necessario”.