Un progetto del Laboratorio Terapie Sperimentali in Oncologia del Gaslini utilizza un coniugato anticorpo-farmaco per indurre la morte delle cellule tumorali

Un coniugato anticorpo-farmaco che ha come bersaglio specifico le cellule tumorali del neuroblastoma e ne induce la morte: si tratta del progetto di immunoterapia, IMMUNNB, realizzato dal Laboratorio Terapie Sperimentali in Oncologia del Gaslini, grazie alla collaborazione con MacroGenics Inc. (azienda produttrice del farmaco), con il contributo dell’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma. Lo studio, attualmente in fase pre-clinica, è stato pubblicato sul Journal for Immunotherapy of Cancer.

“Lo studio realizzato introduce un approccio straordinariamente innovativo nella cura del neuroblastoma, una delle neoplasie maligne più temibili dell’età pediatrica. La combinazione di un anticorpo monoclonale diretto specificamente contro le cellule tumorali con un potente farmaco citotossico consente di veicolare in maniera selettiva e mirata l’azione della molecola farmacologica contro i tessuti neoplastici, aumentando conseguentemente l’efficacia terapeutica e riducendo il rischio di effetti collaterali”, ha detto Angelo Ravelli, direttore scientifico del Gaslini, e aggiunto. “Si tratta di un progresso fondamentale nella direzione della terapia di precisione del neuroblastoma. Il trasferimento all’utilizzo clinico di questa nuova modalità di trattamento promette di accrescere significativamente la sopravvivenza e le possibilità di guarigione dei bambini affetti dalle forme di neuroblastoma resistenti alle terapie tradizionali”.

Mirco Ponzoni (nella foto a sinistra), direttore del Laboratorio Terapie Sperimentali in Oncologia dell’Istituto Gaslini, ha approfondito le caratteristiche del progetto: “In particolare IMMUNNB si concentra sull’utilizzo di una molecola formata da un potente farmaco citotossico legato ad un anticorpo monoclonale: il coniugato anticorpo-farmaco ha la capacità di bersagliare in modo specifico le cellule di neuroblastoma, riconoscendo in maniera selettiva un antigene presente sulla membrana delle cellule tumorali. Lo scopo finale sarà quello di incrementare la sopravvivenza dei pazienti affetti da neuroblastoma ad alto rischio, quelli refrattari e quelli in recidiva. La ADC – così è chiamato il coniugato anticorpo-farmaco – è in grado infatti di superare i meccanismi di resistenza multi-farmaco che le cellule tumorali usano come meccanismo di sopravvivenza. L’idea è dunque che anche i pazienti affetti da neuroblastoma resistente alla chemioterapia possano beneficiare di questo farmaco”.

Non immunoterapia classica

“L’antigene tumorale B7-H3 è un bersaglio ottimale nel neuroblastoma, perché espresso ad alti livelli dalle cellule tumorali, anche nei neuroblastomi in recidiva, a differenza di altri recettori tumorali che nel neuroblastoma in recidiva potrebbero non essere più espressi”, hanno raccontato entrando maggiormente nei dettagli Chiara Brignole (nella foto in centro) e Fabio Pastorino (nella foto a destra) del Laboratorio Terapie Sperimentali in Oncologia dell’Istituto Gaslini, prima e penultima firma dello studio. “In questo contesto, l’innovazione sta nel proporre un tipo di immunoterapia attualmente ancora non in uso nel trattamento del neuroblastoma (e in nessun altro tumore pediatrico). Da un punto di vista concettuale, le ADC si discostano dal concetto di immunoterapia classica, in quanto non hanno la funzione di stimolare e rafforzare il sistema immunitario, bensì di combinare la specificità di bersagliamento degli anticorpi con l’efficacia citotossica dei farmaci ad essi coniugati”.

Lo studio pubblicato dimostra un’efficacia anti-tumorale dell’ADC formata dall’anticorpo anti-B7-H3 coniugato al farmaco duocarmicina su cellule di neuroblastoma, senza indurre una tossicità sistemica in modelli preclinici clinicamente rilevanti, riporta il comunicato del Gaslini. Il progetto ha si sviluppa in due direzioni: “La prima è la traslazione clinica dei dati preclinici fino ad ora ottenuti con il disegno di un protocollo di Fase I, mentre la seconda è la possibilità di migliorare ulteriormente l’efficacia della ADC cambiando il farmaco legato all’anticorpo e/o combinando l’ADC ad altri farmaci immunoterapici, ha concluso Mirco Ponzoni.