Neuropsichiatri infantili, pedagogisti e filosofi uniti per chiedere un ripensamento sulla situazione e l’organizzazione dei servizi per l’assistenza all’infanzia

Un cambio di rotta nelle diagnosi del disturbo dello spettro autistico entro il quinto anno di vita di bambine e bambini e un approfondito ripensamento organizzativo dei servizi dedicati per l’assistenza all’infanzia. Le richieste provengono dal Manifesto per ripensare l’Autismo, che vede quali firmatari neuropsichiatri infantili, pedagogisti e filosofi, e inizia così: “Come specialisti impegnati da decenni nel campo delle patologie e delle difficoltà evolutive dei minori sentiamo la necessità e l’urgenza di rendere noto alle autorità sanitarie e all’opinione pubblica la pericolosa situazione che regna nel campo della diagnosi e cura del disturbo dello spettro autistico”.

“Fermiamoci un secondo e osserviamo la precocità delle diagnosi. Ogni bambino che presenta delle difficoltà evolutive viene subito segnalato come sospetto autismo e le famiglie ricevono pressioni per iniziare cure specialistiche”, dice il pedagogista Daniele Novara. “Il problema è che questa spirale difficilmente tiene conto del mondo affettivo-relazionale del bambino e dei suoi bisogni più veri e profondi. Non vengono nemmeno prese in considerazione le possibilità che le difficoltà possano essere transitorie se affrontate con opportuni interventi sul bambino stesso e sul suo contesto famigliare”.

E sui dati relativi all’aumento delle diagnosi negli ultimi precisa il neuropsichiatra infantile Michele Zappella: “Dati falsati dai cambiamenti delle modalità diagnostiche che oggi si fondano prevalentemente su test comportamentali che non sono in grado di fare una diagnosi differenziale capace di evidenziare la prevalenza di problematiche comunicative, educative e relazionali in famiglia. Oggi possono essere svolti interventi in grado di migliorare enormemente la situazione tenendo conto del contesto pedagogico, funzionale e comunicativo dell’ambiente, dei sentimenti, delle emozioni e dei bisogni affettivi dei bambini”.

Aggiunge il neuropsichiatra Roberto Carlo Russo: “In numerosi casi nella fascia 12-36 mesi in situazioni di stress evolutivo si può riscontrare un comportamento che richiama le manifestazioni autistiche che non è una sintomatologia definita ma una risposta psico-biologica a seguito di una consistente difficoltà evolutiva: il bambino si chiude in un comportamento simil-autistico in attesa che l’ambiente possa indirizzarlo verso un percorso evolutivo adeguato al superamento della difficoltà di sviluppo”.

“Se un bambino o una bambina si chiude nei confronti del mondo esterno in età molto precoce, quando ancora la personalità non ha avuto modo di svilupparsi possono insorgere situazioni che portano a notevoli ansie, paure, disturbi del comportamento e tanta sofferenza alle quali non è indicato rispondere con diagnosi di autismo ma piuttosto con percorsi che prendano in considerazione tutta la sfera educativa, affettiva e relazionale”, aggiunge afferma il neuropsichiatra Emidio Tribulato.

La richiesta rivolta alle autorità sanitarie, alle associazioni scientifiche e al Ministero della Salute con il Manifesto è di avviare un lavoro di ripensamento della situazione e dell’organizzazione dei servizi per l’assistenza all’infanzia.

Firme del Manifesto: Michele Zappella (neuropsichiatra infantile), Gianmaria Benedetti (neuropsichiatra infantile), Roberto Carlo Russo (pediatra, neuropsichiatra infantile), Emidio Tribulato (psicologo, neuropsichiatra infantile), Daniele Novara (pedagogista), Valeria Mazza (psicologa), Marco Macciò (filosofo).