di Elena D’Alessandri

All’interno del XVII Congresso della Società Italiana di Emergenza Urgenza Pediatrica-SIMEUP, tenutosi a Roma dal 23 al 25 novembre u.s., la relazione della dr.ssa Elena Giovanna Bignami è stata dedicata all’Intelligenza Artificiale che, in numerosi ambiti della medicina, sta rivoluzionando i paradigmi di diagnosi e cura.

 

Per parlare di intelligenza artificiale è fondamentale definirla: l’AI è una tecnologia informativa e statistica attraverso cui le macchine e i sistemi informatici simulano processi di intelligenza umana. È necessario sottolineare innanzitutto che non è, né sarà mai, qualcosa che andrà a sostituire il medico o l’infermiere nei diversi setting clinici.

 

AI e ‘big data’

L’intelligenza artificiale deve essere alimentata da ‘big data’. I big data non sono solo un insieme di dati, ma, soprattutto, sono quei dati che non riescono a essere gestiti con sistemi normali di statistica e che devono essere caratterizzati dalle ‘4V’: volume, variety, velocity, veracity. Deve trattarsi cioè di dati che devono essere acquisiti il più velocemente possibile ovvero in tempo reale, che devono provenire da diverse fonti ed essere di alta qualità.

L’analisi dei dati viene fatta con il machine learning, sulla base di un meccanismo che impara da sé stesso e che, a fronte di un input qualitativo alto fornisce un output il più preciso possibile, relativamente a uno specifico contesto. Lo stesso, in ambito clinico, può essere di supporto allo specialista per assumere la decisione migliore per il paziente.

In medicina difatti, l’intelligenza artificiale può rappresentare uno strumento di supporto alle decisioni, ma mai un fine.

L’AI nella pratica clinica

Creando un sistema di big data, che può essere anche un registro dei piccoli pazienti pediatrici in urgenza o elezione, lo stesso viene analizzato attraverso sistemi di machine learning e l’output può essere un software che consente, ad esempio, la stratificazione del rischio in un determinato setting assistenziale, con un impatto sulla pratica clinica.

Nella stratificazione del rischio, forme di software avanzato non consentono soltanto di determinare una percentuale generica, ma, addirittura, il rischio del singolo paziente, adulto o pediatrico che sia, rispetto a una specifica malattia e il momento in cui la stessa potrà presentarsi. E questo in pochi secondi, consentendo ai professionisti di recuperare del tempo da investire con i pazienti.

Intelligenza Artificiale, ma non solo

Nei diversi setting assistenziali esistono oggi nuovi strumenti che possono supportare l’attività del clinico. Dall’Intelligenza Artificiale ai wearable devices, al metaverso, alla blockchain, nel senso di trasduzione del segnale volta ad aumentare la qualità del dato. Importante non trascurare anche l’impatto delle nuove tecnologie sui modelli organizzativi.

Il laboratorio PARMAI

Nel laboratorio di Parma – PARMAI – l’utilizzo dell’AI ha coinvolto il clinical setting, elettivo e di emergenza, ma anche la logistica. Il primo passo è l’acquisizione del dato, in tempo reale con qualità sempre migliore. Il dato va quindi interpretato con sistemi di Intelligenza Artificiale. In questo modo è possibile utilizzarlo per fare simulazioni di scenari, sia clinici che organizzativi, e per la creazione di modelli predittivi, clinici e organizzativi, su un dato paziente o su una specifica struttura.

In scenari come quello della Terapia intensiva, l’applicazione di questi sistemi su pratiche cliniche come la qualità degli allarmi, le modalità di ventilazione meccanica, la sedazione farmacologica, l’emodinamica, la sepsi, può risultare cruciale. L’interesse specifico degli anestesisti rianimatori è legato al momento operatorio, sia elettivo sia di emergenza-urgenza, con l’obiettivo di migliorare la situazione in termini di qualità organizzativa e clinica, legando il momento operatorio al pre e post e cercando di ottimizzare soprattutto la terapia intensiva. L’AI del futuro mira, quindi, a migliorare efficacia e sicurezza per i pazienti.

Il modello ibrido e le criticità esistenti

Proprio perché l’AI è uno strumento di supporto alle decisioni, che deve però sempre assumere il clinico, un modello ‘ibrido’ risulta quello su cui puntare.

I limiti sono dati dalla necessaria trasduzione in tempo reale di tutte le informazioni. Altro aspetto fondamentale – sia in terapia intensiva sia sul territorio sia in sala operatoria – è la possibilità di trasdurre il segnale in modo wearable attraverso i ‘braccialetti’, necessari per fare step-up o step-down dal pronto soccorso a un reparto o dalla terapia intensiva a un reparto. Tra le maggiori criticità, la mancanza, ad oggi, di programmi dedicati nonché la qualità del dato, unitamente a tutte le questioni legate alla gestione dello stesso: dalla privacy alle questioni etiche.